Spesso molto generoso – talvolta persino eccessivamente – con il cinema italiano più giovane, il Concorso della Berlinale ha offerto la sua ribalta a un’opera prima singolare, felicemente ricca d’ingegno e fantasia. Sarà perché Margherita Vicario nasce cantante e compositrice ma il suo debutto, Gloria!, brilla di una luce inusitata, lontana dal cinema autobiografico o, peggio, ombelicale dominante tra i colleghi neofiti che generano opere con un solo stampo. Nell’Anno Domini 1800 l’arrivo di uno dei primi pianoforti mette a soqquadro l’ordine di un istituto religioso della campagna veneta, educandato musicale per giovani orfane, pronte a sentire nelle note molto più della prevista devozione. Con un colpo d’ala, all’insegna del realismo magico, e della forza contagiosa dell’arte dei suoni, la regista trasforma un gruppo di adolescenti assetate di vita in sovvertitrici delle regole: della polifonia del tempo e del ritmo delle loro esistenze.
Film corale, Gloria! celebra la forza rigeneratrice della musica e l’energia del femminile come tante volte s’invoca ma raramente accade. Tutto funziona come per incanto. Spartito d’autore, allegro e scherzoso, il debutto di Margherita Vicario lascia un segno che può stregare una giuria assennata.
Andrea Martini