È stato il primo in famiglia a laurearsi, per l’orgoglio dei genitori venditori ambulanti. Dal Friuli Venezia Giulia è balzato nella classifica del Sole 24Ore fra i dieci professori più influenti d’Italia ed è paragonato al professor John Keating dell’Attimo fuggente, anche se forse non è ancora salito in piedi sulla cattedra. Enrico Galiano, 46 anni, insegna italiano, storia e geografia alle scuole medie dell’istituto comprensivo di Chions, in provincia di Pordenone. Sui social nel 2015 ha creato “Cose da prof“, una web serie arrivata a 20 milioni di visualizzazioni. Dice che fare l’insegnante è come un viaggio in un paese straniero, se vuoi comunicare è importante conoscere almeno qualche parola. Quando non è in classe va in bicicletta, sale e scende dai treni, scrive.
Professore, buoni propositi per l’anno nuovo?
"Cercare la bellezza, ridere, leggere tanto, cambiare il mondo uno studente alla volta. E crederci come fanno i bombi, che non potrebbero volare ma non lo sanno e volano comunque. Con la scuola è lo stesso: così com’è non potrebbe volare eppure, ogni tanto e contro ogni previsione, ce la fa".
Visto l’ardore e il consenso, non pensa di buttarsi in politica?
"La faccio già, anche se quando la pronunci a scuola tutti inorridiscono. La associano a noia, litigio, stupidità. Invece la politica è bellissima, perché etimologicamente dovrebbe rendere la città un luogo migliore. Si fa politica leggendo Emily Dickinson, mettendo tre cestini i classe per la differenziata, spargendo piccoli semi. Dietro la mia cattedra c’è un cartello che recita: ’Andate sempre a vedere se è vero quello che vi dicono, soprattutto quello che vi dico io’. E sono felice quando mi contestano. Nell’anno nuovo vorrei dare tanti dieci a chi lo fa, se solo mettessi ancora i voti".
Cosa si augura per i suoi studenti?
"Che tirino fuori i superpoteri, li hanno tutti anche se non lo sanno. Ma i buoni propositi dobbiamo farli noi adulti rendendoli visibili e protagonisti. Smettendola di dire che sono il nostro futuro. È una bugia tremenda, una frode consapevole. Si dice così per tenerli fermi e buoni, perché non è ancora il loro turno. E quando allora? I ragazzi sono il presente. Auguro soprattutto a me stesso di vederli alzare il sedere dalla panchina per giocare questa partita. Finora il risultato è un terrificante cappotto. Guai, per esempio, a proporre in un consiglio di classe che si diano il voto da soli".
Vogliamo eliminarli nel 2024? Teniamo solo i dieci?
"I voti sono le operazioni chirurgiche prima di Pasteur, un bisturi che con l’intento di curare aggrava la malattia. Chi vuole abolirli non è tutto arcobaleni e unicorni come mi viene spesso rimproverato. È uno che anziché scarabocchiare un quattro si siede a parlare con lo studente e scopre con lui che anche nel compito più scandaloso c’è qualcosa di positivo. Hai scritto tre righe ma hai azzeccato per la prima volta un congiuntivo, adesso vediamo cosa è andato storto. Dietro ogni errore c’è un ragionamento e invece la logica del numero è fallace, il voto è efficiente ma muto come un computer. Non dialoga. Occorre prendere gli sbagli, guardarli bene in faccia e imparare. Io per primo".
Poi i genitori vi menano. Ultimamente voi insegnanti non siete trattati con troppo garbo.
"I colloqui con i genitori sono importanti perché danno le coordinate. Come diceva Rousseau, se vuoi insegnare il latino a Giovannino devi conoscere il latino ma prima ancora Giovannino. E magari mamma e papà, il videogioco preferito. Per catturare il loro interesse devi entrare nel mondo che non si portano a scuola. I colloqui diventano nocivi quando servono solo a scaricare le ansie. Quelle dell’insegnante che si lamenta dello studente casinista, del genitore che scarica la frustrazione di avere un figlio che non si applica. Lì è la guerra. Ma le mani addosso alla nostra categoria vengono messe da sempre anche in senso metaforico, il tiro a segno non è di oggi: categoria senza passione, con tre mesi di vacanza. I più fragili si sentono in diritto di tirare schiaffi, i loro figli prendono la cerbottana".
Educazione sentimentale per tutti, allora?
"In realtà si fa già. Anche semplicemente leggendo Pirandello con le sue maschere o Foscolo con la sua nostalgia. Educazione sentimentale significa dare un nome alle emozioni in modo che spaventino meno. Quando hai le parole per descrivere ciò che provi è difficile che la rabbia diventi violenza, la tristezza depressione e la paura chissà cosa. Peccato che non siano messe a regime attività potentissime come il teatro, dovrebbe essere materia obbligatoria e invece viene lasciato all’iniziativa del singolo unicorno. Su un palcoscenico chi ha problemi di comportamento si trasforma, l’energia negativa esplode e non fa danni. Linguaggio del corpo, voce. Questo mi auguro e su questo si dovrebbe investire. Più teatro e meno tecnologia".
I social: li chiudiamo o ce ne facciamo una ragione?
"Se li chiudessimo i primi a disperarsi sarebbero i genitori che li usano molto più dei figli. Cito la scrittrice Ester Viola: diventeranno come il fumo nei locali pubblici e fra qualche anno ci stupiremo di un’abitudine così nociva. Non è un caso se i ceo delle principali aziende informatiche vietino ai figli di installare le app che proprio loro creano prima dei 16 anni. Per adesso ci siamo troppo dentro, gli ingredienti degli algoritmi fanno leva sul nostro bisogno di affetto e di attenzione e la disintossicazione verrà poco alla volta. Ma si parla troppo poco dei benefici, che ci sono. Quanti timidi sono venuti allo scoperto? E che dire di chi passa ore su Tik Tok a guardare video di storia?"
Emily Dickinson a parte, conosce un modo per insegnare ai suoi ragazzi a essere gentili con le donne?
"Purtroppo è come scrivere sulla sabbia. Sulla violenza di genere lavoriamo tutti i giorni, non solo il 25 novembre. Metti da parte il complemento oggetto e ragioni sull’ultima ragazza ammazzata. Loro sono delle spugne, assorbono. Ma il giorno dopo tocca ricominciare da capo, il mare cancella tutto. E allora bisogna farsela quella domanda: chi è il mare? Non è che siamo noi, sono io? È troppo grande e antica questa cosa. Me ne accorgo quando faccio due lavatrici e il mio pensiero non è ho fatto solo il mio dovere ma ho aiutato la mia compagna, alla quale storicamente tocca il bucato. Le belle lezioni servono, però questa resta una società maschiocentrica. E con grande umiltà dobbiamo ammettere che il problema si risolverà lentamente".