Sabato 27 Luglio 2024

Elettronica forever young

L’arte di rimanere sulla breccia da 25 anni e di aggiornare sempre la proposta musicale. I mille pezzi di successo di Gabry Ponte. .

Elettronica forever young

Elettronica forever young

Gabry Ponte ha iniziato a mettere dischi a quattordici anni quindi ben prima del 1998, quando uscì ’Blue’ che però lui ha scelto come data da cui è partita la successiva cavalcata verso il successo planetario. E per festeggiarne il venticinquennale ha voluto organizzare una grande e inedita festa a tappe per i fan che, dopo l’esordio al Forum d’Assago, si terrà nella natìa Torino il 2 marzo (PalaAlpitour già sold out), a Bologna il 6 aprile, a Roma il 15 giugno.

"Quando ho iniziato – racconta – i ragazzi che facevo ballare erano miei coetanei, ma oggi ai miei set nei club vedo non solo persone della mia età ma anche i loro figli per cui, dopo un travaglio creativo durato sei mesi, con i miei collaboratori abbiamo voluto confezionare uno show trasversale e multimediale, anticipando anche l’orario solito delle discoteche per allinearlo con quello dei concerti".

C’è un segreto per piacere a tanti (tre miliardi gli stream globali, 15 milioni gli ascoltatori mensili su Spotify, due dischi di diamante, 40 di platino e 22 d’oro) e per tanto tempo?

"La fortuna è fare un genere come l’elettronica che deve mantenersi attuale per arrivare al pubblico giovane. Così, periodicamente, cambio vestito alle mie tracce perchè bisogna stare al passo anche di generazioni con cui c’è un gap anagrafico di 20-30 anni".

L’amore per la musica è un’eredità familiare?

"Mio padre era farmacista e amava De Andrè, in casa l’ascolto era occasionale, per cui tutto è nato nello studio torinese di Massimo Gabutti e Luciano Zucchet che a Torino nei primi anni ’90 avevano questa factory variamente frequentata dove è nato ’Blue’ e poi il gruppo Eiffel 65. Lì si mischiavano le skills di tutti e si sono sviluppati anche i progetti solisti che portavo avanti parallelamente".

Quale delle due dimensioni ama di più?

"Il team consolidato offre una comfort zone di alchimia collaudata difficile da replicare ma le sessioni di scrittura possono essere soddisfacenti anche con persone che neanche conosco com’è successo di recente a Milano con ragazzi di Oslo mentre la dimensione solista lascia la libertà di cambiare cantanti e input".

A questo punto della carriera qual è il timore a ogni nuovo disco?

"L’errore più grosso che ho fatto è stato allinearmi alle esigenze del mercato. Agli inizi, da sconosciuto, la gente non si aspetta niente per cui te ne freghi dei feedback. La popolarità cambia la pressione cui sei sottoposto e senti il dovere di andare incontro ai gusti dei fan. Ma è uno sbaglio soprattutto oggi che la musica è diventata più veloce rispetto ai tempi del release del disco fisico. Adesso ne esce uno ogni due settimane e quindi deve piacere a te e importa meno se piace anche agli altri".

Come si mantiene un riserbo così stretto sulla vita privata quando si è una star mondiale?

"La mia compagna non ama stare sotto i riflettori e nemmeno a me piace usare i social per fare una cronaca minuto per minuto della mia giornata. Quando ho dovuto subire un’operazione al cuore l’ho condiviso perchè dopo pochi minuti nel letto d’ospedale ero già in tre selfie e ho preferito raccontare la mia verità piuttosto che far trapelare illazioni se qualcuno, anche ingenuamente, avesse pubblicato quelle foto. Quel che è certo è che se appaio non è mai per una scelta di marketing".

Il corso di laurea in Fisica l’ha aiutata anche nella musica?

"Studiare è un aiuto nella vita in generale così come l’essere curiosi e la lettura. Fisica fu una scelta conseguente al buon profitto in matematica e fisica e siccome non sapevo che avrei fatto della musica il mio mestiere (noi eravamo la prima generazione di dj producer), andavo all’università per evitare il militare e poi per avere un piano A o B a seconda di come sarebbe andata l’avventura artistica".

Cosa resta di quel Gabry?

"La passione di 30 anni fa è la stessa di oggi anche se la fruizione della musica è profondamente cambiata. Ma la base del successo è fare buona musica, il resto viene da sè perchè il mondo discografico trova sempre il modo di fare soldi".

Si sente debitore verso qualcuno?

"Il primo ad aver creduto in me è stato Massimo Gabutti, il mio riconosciuto mentore. Ma fin dall’inizio la mia forza è stata nel circondarmi di gente brava, perché per quanto anch’io possa esserlo, da solo non sarei mai arrivato dove sono".