"No, nel mio film non le faccio fare la doccia", afferma sornione Pupi Avati. Sorprendere, spiazzare con scelte inconsuete, forse azzardate. Ma il fatto è, come dice lui, che "in Italia la panchina è corta" e lui da sempre ama "allargare la rosa", per usare ancora una metafora calcistica, con nomi e personaggi che non ti aspetti, da Katia Ricciarelli a Renato Pozzetto. E che soddisfazione quando, dopo avere sentito e ignorato ripetuti, "ma sei sicuro?", i risultati gli danno ragione.
Questa volta la sua scommessa vincente è Edwige Fenech, incontrastata reginetta delle commedie sexy degli anni ’70 e ’80, nelle quali la macchina da presa non mancava mai di spiarla sotto la doccia. Avati l’ha voluta nel suo nuovo film, ‘La quattordicesima domenica del tempo ordinario’, dal 4 maggio nelle sale.
Nella Bologna anni ’70, Sandra è la ragazza più bella della città (interpretata da giovane da Camilla Ciraolo). Di lei si innamora Marzio (Gabriele Lavia da adulto, Lodo Guenzi da giovane), che con l’amico Samuele (da adulto Massimo Lopez, da ragazzo Nick Russo) forma il duo “I leggenda“, e incide l’unico disco della sua vita.
Racconta Avati di non avere avuto esitazioni quando si è trattato di scegliere l’attrice a cui affidare il ruolo di Sandra, la ragazza più bella di Bologna. "Ho pensato, chi era la più bella del cinema italiano negli anni ’80? Edwige, che bella lo è anche adesso". E ricorda divertito: "È meraviglioso quando proponi un nome inconsueto. La proposta suscita sconcerto, come fosse una provocazione". Ma se non ha avuto dubbi Avati, non ne ha avuti nemmeno lei, felicissima di ricevere questa proposta.
"La chiamata di Pupi è stata una specie di miracolo, un sogno che si realizza. Non facevo più niente da sette anni – ricorda – da ‘È arrivata la felicità’ di Riccardo Milani. Non che non avessi ricevuto proposte, ma si trattava di tutti ruoli che non mi facevano tornare la voglia di recitare". Bella e sexy, radiosa e gentile, l’attrice nata in Algeria nel 1948, ha conquistato anche Quentin Tarantino.
"Ha visto tutti i miei film, compresa Giovannona coscialunga disonorata con onore, perché gli piacevo come attrice ed è un cultore del cinema di un certo periodo", racconta Fenech e ricorda il film di Sergio Martino, diventato un cult. Altri tempi, e altri ruoli.
"Ho fatto tanti film, con ruoli bellissimi ma questa Sandra – dice – è quello giusto per questo momento della mia vita e della mia carriera, ora che non sono più una ragazzina ma una signora matura". Che felicità inattesa, quindi, la telefonata di Avati che l’ha raggiunta nella sua casa di Lisbona. "Una gioia incontenibile – ricorda – tanto che ho iniziato a saltare per casa, e il mio gatto insieme a me".
Un film, questo, in cui – rivela Avati – parla molto di sé. "A Bologna, subito dopo la guerra, all’angolo tra via Saragozza e via Audinot, c’era un chiosco di gelati gestito da un certo Romoli. Era un posto dove le cose che sognavi, accadevano", si racconta nel film. Marzio sognava di sposare Sandra e di avere successo come cantante, mentre Sandra voleva diventare indossatrice. Molti anni dopo, il bilancio delle loro vite registra però soprattutto delusioni e fallimenti.
"Quel chiosco non c’è più ma lo conservo dentro di me – racconta Avati – e aspetto ancora che accada qualcosa di significativo, perché non sono sazio. È un film con molti elementi autobiografici anche se, raccontando la mia vita, ho la presunzione di avere raccontato anche la vita degli altri".
E già nel titolo c’è un riferimento autobiografico. "Il tempo ordinario è quello che segue la Quaresima e precede l’Avvento. Il tempo ordinario – spiega Avati – coincide con la primavera e l’estate, periodi in cui solitamente ci si sposa e anche io mi sono sposato, il 27 giugno del 1964".
Quel giorno, dopo quattro anni di tenace corteggiamento, Avati aveva finalmente portato all’altare la ragazza dei suoi sogni e che è ancora sua moglie. "Mi sembrava di essermi garantito la felicità per sempre, e pensavo che non avrei avuto più bisogno di nient’altro. Ma a ottant’anni ti guardi alle spalle – riflette il regista bolognese – e ti rendi conto che il destino di tutti è di essere dei falliti, perché i nostri sogni andavano aldilà di quello che abbiamo ottenuto".