Venerdì 10 Gennaio 2025
GIOVANNI BOGANI
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E il sindacalista Reagan piegò Hollywood

Nel 1960 il futuro presidente fu alla testa del primo e vittorioso sciopero di attori e sceneggiatori. Un precedente per le proteste attuali .

E il sindacalista Reagan piegò Hollywood

di Giovanni Bogani

Lo sciopero degli attori americani sta monopolizzando l’attenzione. Sta avendo ripercussioni sulle uscite dei film e sulle partecipazioni ai Festival (Venezia inclusa). È uno sciopero che vede sceneggiatori e attori uniti nella lotta, come non accadeva dal 1960. Quando, a condurre la rivolta, c’era un attore che qualche decennio dopo sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti d’America: Ronald Reagan. Era il 1960. Da allora, mai più sceneggiatori e attori erano scesi in sciopero insieme. L’ultima volta che gli attori di Hollywood erano scesi in sciopero era stato nel 2000, per i pagamenti dei “residuals“, cioè la percentuale di loro competenza per gli spot commerciali che interpretavano e andavano in onda nelle televisioni. Prima, avevano scioperato nel 1980, per ottenere i “residuals“ sulle uscite dei film in home video. E che cosa successe nell’altro grande sciopero che vide sceneggiatori e attori fianco a fianco, nel 1960?

La minaccia, all’epoca, era la televisione. Fra il 1950 e il 1960 era entrata nelle case di tutti gli americani. Non era più necessario andare al cinema per vedere i film, si poteva restare seduti in salotto. Gli attori – e gli sceneggiatori – iniziarono a chiedere i diritti residuali, proprio come ora, per tutte le volte che le tv programmavano i loro film. Leader della protesta, Ronald Reagan, che proclamò lo sciopero degli attori il 9 marzo 1960.

A sostenere lo sciopero c’erano divi come Tony Curtis, Spencer Tracy e Janet Leigh. Qualcuno vi si oppose: come Hedda Hopper, che mise in relazione lo sciopero con il comunismo, lo spauracchio più temuto dai bravi americani. Solo tredici anni prima, nel 1947, il senatore McCarthy aveva lanciato la “caccia alle streghe“ contro attori, registi e sceneggiatori sospettati di simpatie comuniste, chiedendo delazioni e spiate a tutti i grandi di Hollywood. Quella volta, nel 1960, lo sciopero si concluse relativamente presto: dopo 40 giorni, il 18 aprile 1960, Reagan accettò un compromesso con gli Studios. Qualcuno lo accusò di essere stato troppo morbido: ma aveva portato a casa il primo accordo per i “residuals“ sui film trasmessi in tv. Lui, il futuro presidente Usa conservatore, strappò un accordo definito "rivoluzionario".

Nel 1980, alla fine di luglio, i 65mila membri della Sag, il sindacato degli attori cinematografici, e l’altro sindacato – quello degli attori radiotelevisivi – scesero in sciopero, con la richiesta di salari di base più alti e del pagamento dei “residuals“ per le vendite e i noleggi dell’home video, all’epoca un mercato tutto nuovo. Fra gli attori in prima fila nei cortei, Jack Nicholson. E quello sciopero bloccò – e rischiò di fermare – la lavorazione di film adesso divenuti iconici: Sul lago dorato, il dramma che vedeva insieme Henry e Jane Fonda, il vecchio padre e la figlia ribelle e contestatrice; o la commedia Arturo, con Dudley Moore e Liza Minnelli.

All’epoca, gli attori venivano pagati una tantum, e non ricevevano percentuali per la visione dei loro film in home video o in televisione. Quella volta, gli attori ottennero una percentuale degli incassi per l’home video, agevolazioni per la pensione, per l’indennità di disoccupazione e per l’assicurazione sulle malattie. Lo sciopero coinvolse tutti gli attori americani, con rari casi di boicottaggio: l’attore Powers Boothe fu l’unico ad accettare un Emmy Award, dicendo "questo è il momento più coraggioso della mia carriera, o forse il più stupido". Il presentatore della serata disse invece: "Chi di noi avrebbe mai immaginato di vedere il giorno in cui l’unico attore a lavorare sarebbe stato Ronald Reagan?" Si riferiva al presidente degli Stati Uniti, ex attore hollywoodiano di solido mestiere e discreto prestigio. Ma non si ricordava che proprio Ronald Reagan era stato il leader della prima storica protesta degli attori?

Il Primo maggio del 2000 i membri della Sag e quelli del sindacato avviarono lo sciopero più lungo: finì nell’ottobre successivo. Sei mesi che portarono a un nuovo contratto. All’epoca, i membri della Sag, unitisi con l’Aftra, erano diventati 135mila. Nel loro insieme erano pagati più di 700 milioni di dollari all’anno: ma la grande maggioranza di loro guadagnava meno di settemila dollari all’anno, e aveva un sacco di spese non coperte dal salario. Il motivo del contendere, questa volta, era il pagamento dei “residuals“ per gli spot pubblicitari. Susan Sarandon e Tim Robbins furono in prima fila nella lotta insieme a Paul Newman, a Tom Hanks, a Julia Roberts. Donarono forti somme per sostenere lo sciopero Kevin Spacey, Nicolas Cage, Harrison Ford e Helen Hunt.

Sarandon, Robbins, in prima fila, gridavano a gran voce di boicottare i prodotti promossi dalla agenzia Procter & Gamble, una delle più potenti al mondo, che usavano attori non iscritti al sindacato per i loro spot, o cercavano di aggirare lo sciopero andandoli a girare in Europa. In seguito, la Procter & Gamble fu fondamentale per il raggiungimento di un accordo fra attori e produttori.

E ritornando al presente. Se l’accordo strappato da Ronald Reagan più di sessant’anni fa fu chiamato "rivoluzionario", è proprio alla Rivoluzione francese che si richiama Fran Drescher, l’attrice de La tata, serie tv anni ‘90, ora leader del sindacato degli attori. Drescher dice: "Alla fine il popolo abbatterà i cancelli di Versailles, e allora sarà finita!".

Quella volta, alla fine del Settecento, non fu propriamente una passeggiata. Saltarono le teste del re e della regina, e molte altre con loro. Seguì un periodo che non a caso fu chiamato "il Terrore". Chissà come andrà, in questo caso.