Mentre si agita ovunque una questione femminile, c’è una donna nell’ombra la cui voce cresce d’intensità. E mentre molti fanno a gara per farsi vedere c’è una donna quasi invisibile che aumenta il suo fulgore. C’è ormai un fattore Emily. Emily Dickinson, la poetessa di Amherst, Usa 1813-1886. C’è anche nella cultura italiana. Appare ovunque. Non le capiterà il destino di Frida Kahlo, ridotta a immaginetta da shopper. Democrazia dell’arte? No, riduzione a spettacolo, commercio. Con la Dickinson è più difficile, è sfuggente, Anche se Netflix ha gia fatto una serie per ridurla agli stereotipi di moda. Ma lei sfugge. E riappare dove non ti aspetti. Per esempio in un romanzo di esordio di una ragazza che, apparentemente, non le somiglia per nulla.
Ci sono libri fiume, libri aria, libri ferro. E libri ardenti. Uno è questo, di Flaminia Colella, edito da La Lepre, Figlie dell’oro. Chi sono ? E cosa è l’oro di cui si parla? E perché tra queste pagine, come guida, ospite compare lei, Emily Dickinson? Il libro, attualissimo, racconta di una maturazione rischiosa fino alla morte, in un contesto di rapporti – la nonna meravigliosa e strana, un nonno psichiatra genio e tremendo, un amore struggente, figure di donne su diversi piani del tempo – e di difficoltà tipiche della nostra epoca: nevrosi, difficile accettazione della morte, del corpo, dell’amore. La scrittrice, romanziera e poetessa, conduce il gioco narrativo ed epistolare con stile forte e lieve. Si muove tra cliniche, fari, oceani, vie di Roma e visioni sicule con una efficacia in un certo senso micidiale.
Chi sono le figlie dell’oro? In una sua poesia, la Dickinson dice: "Mi fu dato dagli Dei /quand’ero bambina /ci fanno più regali – sai /appena arrivate- e piccole". La ragazza del romanzo della Colella cresce con questa “differenza“ ma deve metterne a fuoco il senso, e che cosa sia l’oro in tutta la sofferenza che incontra e vive, a volte tremenda. C’è l’oro nella nostra vita? Nelle confusioni e nonostante gli abissi? Cosa rende preziosa l’esistenza, la sua riuscita secondo certi modelli, o un dono?
La più mistica e segreta delle voci americane di poesia (che non a caso affascinò Margherita Guidacci a Silvio Raffo a Giovanna Sica a Silvia Bre, Giuseppe Ierolli, per dire alcuni recenti traduttori e estimatori) continua a correre con quell’oro tra le dita, enigma nel tempo della perdita di ogni valore e di ogni fulgore che non sia artificioso. "Lo tenevo nella mano /mai lo posavo /non osavo mangiare né dormire /per paura che sparisse /sentivo parole come “ricca” /quando correvo a scuola /da labbra agli angoli della strada /e trattenevo un sorriso.(...) / Ero Io ricca/ a prendere il nome dell’oro /e a possedere l’Oro in solide barre /La differenza mi rendeva forte". Nel romanzo il ritratto della protagonista e delle altre “figlie dell’oro“ colpisce a ogni pagina. Donne capaci di una sofferenza e di una grazia immani e feriali, offerte con levità. Poi sguardi maschili che escono dalla nebbia e sanno vedere, e luoghi potenti e sbalorditivi – come i natii colli romani dell’autrice, vicina di casa, per così dire, di altri narratori forti come Picca e Mencarelli e però tutta diversa. Lì la Dickinson ha trovato un’altra sorella.