Martedì 18 Marzo 2025
ELENA BURIGANA
Magazine

Donald Trump silenzia le “storiche voci della libertà”

Voice of America e altre emittenti internazionali statunitensi bloccate da un ordine esecutivo

Sede di Voice of America a Washington.

Sede di Voice of America a Washington.

Firenze, 18 marzo 2025 – Con un ordine esecutivo firmato venerdì notte, il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump ha ridotto al silenzio le operazioni delle più importanti emittenti pubbliche americane. Migliaia di giornalisti che lavorano per media storici, come Voice of America, Radio Free Europe/Radio Liberty e Radio Free Asia, sono stati costretti al congedo. I loro programmi sospesi nel giro di poche ore. Al loro posto, silenzio o musica.

Nel fine settimana, circa 3.500 dipendenti hanno ricevuto un'e-mail in cui si dice che saranno banditi dai loro uffici e dovranno consegnare i pass stampa e le attrezzature fornite dall'ufficio. Michael Abramowitz, direttore di Voice of America (VoA) – la più grande e antica di queste emittenti, fondate tra gli anni Quaranta e Cinquanta per rispondere alle propagande prima nazista e successivamente sovietica – ha dichiarato di essere “profondamente rattristato dal fatto che, per la prima volta in 83 anni, VoA sia stata messa a tacere”. Dopo la firma dell’ordine esecutivo, la Casa Bianca ha affermato che i tagli garantiranno che «i contribuenti non saranno più responsabili della propaganda radicale», alludendo a una presunta avversione delle emittenti nei confronti dell’amministrazione Trump.

Le emittenti con giornalisti federali (dunque dipendenti pubblici), pur essendo controllate dal governo americano, erano tenute a rispettare stretti criteri giornalistici, e soprattutto nel caso di VoA - nata con l’obiettivo, come dice il suo atto costitutivo, di «presentare le politiche degli Stati Uniti» al mondo, e al tempo stesso di «costituire una fonte di news affidabile e autorevole» - avevano un alto grado di indipendenza editoriale. Negli anni, il loro lavoro trasmesso all’estero fu l’unico modo con cui milioni di persone riuscivano a eludere la censura e accedere a un’informazione libera, in paesi governati da regimi dittatoriali o autoritari. Ora però, dopo l’ordine esecutivo del presidente Trump, che già nel 2020 aveva espresso apertamente di non sopportare VoA, in quanto troppo schierata a favore dei Democratici, le cose stanno per cambiare drasticamente. “Quello che viene detto (durante le trasmissioni) a Voice of America è disgustoso”, aveva affermato durante il suo primo mandato.

A differenza di altri presidenti prima di lui, come Kennedy e Reagan, che si erano sempre schierati in difesa dell’emittente e le cui frasi celebrative tappezzano la sede di Washington, Trump non ha mai apprezzato il lavoro della stazione radio-televisiva. “Voice of America ha una grande responsabilità - disse John F. Kennedy - il peso della verità non è facile da sostenere”. Per il tycoon invece non è così. I media che scrivono male di lui sono “illegali e corrotti” e questo “deve finire. Deve essere illegale”, ha detto. E il blocco a livello operativo, infatti, non ha tardato ad arrivare.

Dal punto di vista giuridico l’ordine esecutivo firmato da Trump stabilisce «l’eliminazione al massimo grado consentito dalla legge» della U.S. Agency for Global Media (USAGM), ovvero l’agenzia che sovrintende alle emittenti pubbliche americane. La USAGM è finanziata tramite un atto legislativo del Congresso e dunque il governo, come avviene con altre agenzie federali indipendenti, non può chiuderla direttamente. Può soltanto bloccarla a livello operativo, che è ciò che è avvenuto in questi giorni. È probabile che adesso cominceranno cause legali da parte dei dipendenti, al fine di invalidare l’ordine. Ma la strada si prospetta in salita.

Da mesi, dentro VoA, si erano avvertiti i primi segnali di crisi. A dicembre, prima ancora di entrare formalmente in carica come presidente, Trump aveva nominato Kari Lake, politica dell’Arizona fedele al tycoon, nuova direttrice dell’azienda. Lake ancora non entrata in carica, aveva promesso di trasformare Voice of America in «un’arma» per combattere «la guerra informativa» a favore di Trump.

Ma le cose hanno cominciato a farsi preoccupanti dopo che a febbraio Richard Grenell, nominato “inviato speciale per le missioni speciali” e stretto alleato di Trump, ha affermato che VoA e altre emittenti erano «una reliquia del passato» e che dovevano smettere di essere finanziate con soldi dei contribuenti. Elon Musk, ora a capo del DOGE (dipartimento per l’Efficienza del governo), aveva subito ripreso la dichiarazione scrivendo su X: “Yes, shut them down!” (Sì, chiudiamole!). Oggi, Harrison Fields, portavoce della Casa Bianca, ha scritto "arrivederci" su X in 20 lingue, una frecciatina alla copertura multilingue delle testate giornalistiche.

Dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca, la situazione dentro VoA si è fatta sempre più allarmante e vari sono stati i casi di autocensura, che hanno coinvolto in primis gli articoli critici nei confronti del presidente. Tra giornalisti messi sotto indagine interna e alcuni compromessi sul modo di trattare le notizie, vari sono stati i sintomi del fatto che le cose stavano cambiando. Emblematico il caso del 9 febbraio, quando Trump ha deciso di rinominare il Golfo del Messico in Golfo d’America e Associated Press (AP) – l’agenzia di stampa che definisce le regole di scrittura, seguite comunemente dai media americani tra cui VoA, quando si tratta di spelling dei nomi, regole grammaticali e così via - ha mantenuto il vecchio nome, e per questo ha subìto ritorsioni dalla Casa Bianca. I caporedattori di Voice of America hanno invece esortato i loro giornalisti a ignorare AP, e a usare Golfo d’America nei loro articoli, probabilmente per compiacere il presidente.

Il blocco operativo delle emittenti pubbliche statunitensi sembra seguire pedissequamente quanto proposto da Project 2025. Scritto durante la campagna elettorale trumpiana dello scorso anno, questo “documento programmatico radicale” comprende un intero capitolo, scritto da Mora Namdar, dove si legge che l’amministrazione Trump deve riuscire a trasformare l’agenzia USGAM e VoA in uno «strumento utile», altrimenti tanto vale «toglierle i finanziamenti».

La notizia dello smantellamento delle storiche emittenti, tra cui Radio Free Asia - nata dopo le proteste e il massacro di piazza Tienanmen del 1989 –, è stata accolta con favore dalla Cina, che peraltro ha bollato sull’editoriale Global Times – tabloid di stato in lingua inglese - VoA come una «fabbrica delle bugie». ll Cremlino ha invece commentato benevolmente la decisione di Trump come una "decisione interna degli Stati Uniti che in realtà non riguarda la Russia".

Il tentativo dell’amministrazione Trump di silenziare “le storiche voci d’America” sembra essere parte del suo progetto di controllo dell’informazione mediatica e di una sua conseguente manipolazione, che rischia di inquinare la tenuta della democrazia. Rifugio di pluralismi di idee e di voci differenti.