
Dolcenera
“Diversamente pop è una definizione per me e per la mia musica che mi piace e in cui mi ritrovo. Sottolinea la mia libertà espressiva, il mio giocare con la musica. È una mia caratteristica cambiare vestito, preservando l’anima di cantautrice, Non a caso ho scelto un nome d’arte che cita De André, suono il pianoforte, ma non disdegno i sinth, le sferzanti note elettroniche nordiche, ma anche il calore dei fiati, dei tamburi ancestrali”.
È un’artista sensibile, sincera ed estrosa Dolcenera. Ama sperimentare e mette tutta se stessa in quello che fa. Lo dimostra con il progetto Anima Mundi, l’iconico piano solo recital che giovedì 20 marzo farà tappa al Teatro di Fiesole. Ma, intanto la cantautrice e polistrumentista salentina, che in realtà si chiama Emanuela Trane, sbarca in prima serata su Sky Uno e in streaming su Now. Lo farà stasera (giovedì 6 marzo) in occasione della prima puntata della trasmissione “Pechino Express 2025 – Sul tetto del mondo”, dove è in gara nella coppia I Complici, che condivide con il compagno Gigi Campanile, con cui vive a Firenze da trent’anni.
Dolcenera, come mai ha partecipato Pechino Express? “Perché era un momento in cui avevo bisogno di uno scossone. Volevo sbloccare un cortocircuito in cui non riuscivo più a credere nella bontà della realtà. Quello che sta succedendo a livello geopolitico è osceno. Sinceramente non vedo così easy la situazione che c'è in questo momento. Stiamo rischiando di estremizzare il nostro pensiero e di estremizzarci come persone. Forse anche perché ci sono dei linguaggi, come il digitale, che oggi invitano all’estremizzazione”. Come avverte l'aggressione del digitale? “Quando parli, non puoi esprimere un concetto mediato sui social. Perché se si utilizza nessuno ti prende in considerazione. Mentre vanno alla grande i concetti più estremi e quelli più brevi e rapidi, cioè quelli che alla fine non riescono a raccontare niente. Perché il pensiero umano è complesso, le situazioni del mondo sono multiformi, non possono essere raccontate con mezza frase facilmente condivisibile. Spesso insomma ci sarebbe bisogno di approfondire. Ma, talvolta non è possibile perché i social permettono soltanto espressioni veloci. E, velocemente si possono dire solo cose e frasi estreme. Non puoi spiegare, non puoi stare nel mezzo”. E quindi il linguaggio estremo fiorisce? “Sì, per questo ho deciso di andare a Pechino Express: avevo voglia di connettermi con la gente, volevo tornare a credere nelle persone. Quando scoppiò la guerra in Ucraina, ero in studio, avevo la televisione davanti al pianoforte e quando ho visto i primi lanci di missili, sono scoppiata a piangere. Ho sentito dentro di me una sensazione di impotenza. La prima parte della mia vita era caratterizzata da una fase di entusiasmo, di slancio, di positività. Poi a un certo punto le cose sono cambiate, devo dire la verità, sono diventata più consapevole e adesso spesso ho bisogno di messaggi positivi per esorcizzare la situazione”. E quindi ben venga un talent come Pechino Express? È un adventure game, un gioco di avventura. una caccia al tesoro costante e liberatoria in cui devi a metterti realmente in gioco e in connessione con l'anima mundi delle persone a cui devi imparare a chiedere aiuto”. E questo può creare più di una difficoltà? “Non è che tutti noi siamo abituati a chiedere aiuto davvero alle persone. Bisogna capire se hanno paura di te, se hanno voglia di aiutarti o se vorrebbero, ma non hanno tempo. Non è così facile. E poi ci sono le cose logistiche: anche io mi vergogno un po' a chiedere di essere portata a cento chilometri più avanti, ma bisogna farlo perché a Pechino Express le distanze sono grandi da percorrere. Penso sia l'unico programma che invita alla connessione piuttosto che alle lotte intestine. Stimola veramente le connessioni reali, sviluppa una parte di te che non sai di avere. Spesso devi diventare un selvaggio, un primitivo, per affrontare la situazione. Non mangi, trotti dalle 5 del mattino alle 9 di sera. Corri e diventi un altro, diventi un piccolo Rambo che vive nella natura, che non ha orologi, non ha telefoni, non sa mai che ore sono. Ti stanchi molto e recuperi, viene fuori una parte di te che è combattiva e che ha voglia di esplodere, di resistere, una parte resistente in connessione con il genere umano. Purtroppo quando torni a casa e subito la realtà ti aggredisce e ti riporta alle dinamiche precedenti”. Anche nella musica. Che differenza c’è secondo lei fra quella di oggi e quella di ieri? “Prima tutti erano rappresentati dalle classifiche e quindi gli artisti suonavano ciò che realmente il pubblico ascoltava e voleva sentire. Adesso no, perché viene premiato l'ascolto ossessivo dei ragazzini, degli adolescenti, perché sono loro che per primi si appassionano alla musica. Un adulto non ascolta un disco 50 volte al giorno, lo fa una volta a settimana, quindi incide meno. Per questo oggi c'è unicamente una produzione di musica per ragazzi e le generazioni un po' più mature presto non avranno la loro musica da ascoltare. Se continua così, tra 20 anni non ci sarà più nessun artista capace di riempire ancora uno stadio. Nemmeno fra i giovani, a meno che non lo facciano subito, appena lanciati, perché ogni quattro anni gli adolescenti sostituiscono la musica che ascoltano e quindi l’artista deve sbrigarsi, altrimenti il pubblico non ce l’hanno più, ha già cambiato gusti e opinioni”. Anche un certo look è essenziale? “Soprattutto per le donne che in musica oggi, sono costrette a fare le cubiste: si vestono tutte uguali per colpa dei social. L'unica immagine della donna che viene veicolata maggiormente dall'algoritmo è quella di una donna più svestita. Non tutte per fortuna lo facciamo, ma per funzionare alla grande nel mondo della musica devi essere così, questo non vuol dire che non bisogna essere sensuali. Anzi. Ma, ci sono altri modi per esserlo senza per forza mostrarsi sempre in abiti provocanti”. Non sopporta proprio l’omologazione? “Soprattutto nella vita digitale, che è ricca di aspetti positivi, ma induce la tendenza all'assomigliarsi. Quando una cosa si vede che funziona l'algoritmo ti mostra solo quella e quindi ti spinge all'omologazione, che è proprio una cosa che non sopporto. Perché credo che alla fine la differenza nel mondo l'hanno fatta le persone che hanno scelto di essere diverse e hanno insegnato agli altri che esiste una diversità. Culturale, di pensiero, di genere, quello che vuoi. La diversità arricchisce sempre”. Come è nato il concerto spettacolo Anima Mundi? “È una performance dedicata, come il disco omonimo, ai cinque elementi che costituiscono la vita. Ai quattro che conosciamo, acqua, aria, terra, fuoco, ho aggiunto il quinto elemento, la quintessenza o etere che, secondo tantissime culture nel mondo, è l'essenza della vita. Nello spettacolo ci sono musiche, canzoni, poesie, riflessioni, brani di altri artisti, ma soprattutto c’è l'improvvisazione. È la cosa che la fa da padrona nell'esecuzione. Perché, perché mi piace, perché mi rende libera, e mi fa sentire viva, non mi annoia mai, e un concerto non è mai uguale all'altro. Quindi, esecuzione al piano, con improvvisazione”. Quindi lo spettacolo è intriso di un jazz bop moderno? “In qualche maniera sì, Se l'improvvisazione fa parte del jazz, allora sì, per me nasce dal blues, anche prima del jazz. E poi dopo è andato nel jazz. Beh, in ogni caso è un'evoluzione”.