Giovedì 26 Settembre 2024

DO VOCE AL FUTURO

«ORA VORREI CANTARE I GIOVANI AUTORI» GIANNI MORANDI IN SCENA A BOLOGNA «HO SEMPRE VOGLIA DI RICOMINCIARE»

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A Pasqua saranno 31. «Quando siamo partiti, qui a Bologna, in verità, non avevamo un’idea precisa di come si sarebbe sviluppato il progetto del teatro Duse ‘Stasera gioco in casa’, poi piano piano si è trasformato in un bagno di folla tra amici, di rimpatriata con gente che magari non vedevo da decenni e anche di tanti fan che hanno approfittato del mio concerto per venire da fuori a conoscere la città e a farsi una bella mangiata». Gianni Morandi ha cominciato a Ognissanti e di mese in mese l’esperienza dell’one man show sul palco bolognese che l’aveva visto debuttare ragazzino si è allungata fino a diventare un appuntamento fisso del palinsesto stagionale del teatro.

«Mi faceva piacere ripercorrere con sincerità la mia vita d’artista, omaggiare chi mi ha segnato anche come uomo, dare visibilità a chi sta crescendo nell’entourage familiare con la mia stessa passione per la musica. La canzone che apre lo spettacolo e ne porta il titolo l’ha infatti scritta mio nipote Paolo Antonacci».

Sono suo figlio Tredici Pietro e anche Paolo a tenerla sempre al passo coi tempi?

«I ragazzi hanno le loro idee e una visione lontana da quella della mia generazione, però io sono attento a tutti i cambiamenti, guardo ciò che succede nel mio mondo e verifico la rivoluzione avvenuta da quando ero ragazzino. Adesso l’80% della musica si ascolta attraverso il cellulare, un’esperienza tutt’altro che straordinaria, ma va così. Però la new wave italiana è degna di attenzione».

Dopo il duetto con Rovazzi, che cosa la tenta?

«Provare a cantare e leggere le melodie dei vari Brunori Sas, Calcutta, Coez, Motta facendone un disco. Mi intriga capire se il loro modo di comunicare può essere anche nelle corde di un interprete che ha in repertorio 600 canzoni. Io ho cantato tutti i grandi parolieri italiani, cantautori compresi. Fare un disco con le migliori hit dell’ultima leva di autori mi piacerebbe molto».

Da Sanremo ha avuto qualche sollecitazione?

«Sono un fan del festival di cui ho seguito tutte le edizioni e questa mi è piaciuta molto anche per il clima di amicizia e rilassatezza che si respirava. Quanto alle scelte musicali, hanno abbracciato un po’ tutte le correnti in auge e sono anche abbastanza d’accordo con il podio finale. Mi è però anche piaciuta Levante, come pure l’interpretazione di Tosca e la grinta di Rita Pavone».

Le è venuta voglia di tornare in gara?

«Tutto può succedere ma direi che ho già dato, non lo pongo fra le mie priorità».

Come si sente a essere un monumento nella storia della musica?

«Non me ne rendo conto, è l’occhio esterno che magari mi vede così. Io continuo a fare questo lavoro nella speranza di regalare un po’ di spensieratezza a chi viene a vedermi. Più che un pezzo di storia mi sento un testimone sempre spinto dalla curiosità a non fermarmi. È anche una questione di carattere aver una costante voglia di ricominciare e mettersi in gioco, senza però mai farsi attrarre dalle derive divistiche per rimanere ancorati alla vita normale, di tutti i giorni».

Ma la calamita del palcoscenico è fortissima...

«Ho fatto solo il cantante in vita mia e mi dispiace pensare di dover abbandonare un giorno l’esibizione in pubblico. Comunque finché c’è gente che paga un biglietto per venirmi a vedere, si rinnova ogni sera la gioia di ricominciare, senza mai dar niente per scontato, cambiando ma rimanendo sempre se stessi. Come succede al Duse dove si è creata una magia forse irripetibile».

Dalla sua prospettiva che immagine dell’Italia esce?

«Resto ottimista sul fatto che i ragazzi cui affidiamo il futuro possano trovare la strada per migliorare il mondo. Del presente mi disturbano e mi immalinconiscono la politica urlata, le liti, le accuse, il personalismo eccessivo di chi non fa squadra ma pensa solo a sé e alla sua poltrona».