"È un miracolo essere qui a Venezia", dice Cate Blanchett, presidente di giuria della Mostra nell’anno più delicato e cruciale. "Chi organizza il festival ha fatto un miracolo. Di coraggio, di creatività. E io sono profondamente d’accordo con le intenzioni di chi ha preparato la Mostra: bisogna riaprire. L’industria del cinema, come ogni industria, ha vissuto mesi di sofferenza indicibile. Adesso è il momento di tirare fuori la testa, di riemergere".
Cate Blanchett guida la giuria internazionale che assegnerà il Leone d’oro: ne fanno parte anche, fra gli altri, l’attore Matt Dillon, lo scrittore Nicola Lagioia, l’attrice francese Ludivine Saignier. Ma è l’attrice australiana, cinquant’anni, con i suoi due Oscar vinti e il suo immenso prestigio internazionale, la presenza più carismatica, il faro di una Mostra forzatamente povera di divi. "Ho parlato di cucina e di polli al forno negli ultimi mesi: ora possiamo ritornare a parlare di cinema", esordisce.
Cosa pensa del modo in cui l’Italia ha affrontato il Covid?
"Penso che gli altri paesi avrebbero dovuto imparare di più dall’Italia, e dal terribile stress, dal dolore a cui l’Italia è stata sottoposta. Invece, mi sembra che nel mondo lo “Zio Economia” sia stato visto come il membro più importante della famiglia".
Che ricordi ha della Mostra?
"Venni a Venezia più di vent’anni fa, con il mio primo film internazionale, Elizabeth di Shekar Kapoor. Non ero mai uscita dall’Australia, e non avevo idea di che cosa fosse davvero un festival cinematografico. Poi qualcuno mi disse: se stasera il pubblico applaude, tutto bene. Se escono dalla sala, è finita. Non sono mai stata tanto terrorizzata in vita mia! Poi il film andò bene, mi portò anche la mia prima nomination all’Oscar. Sono tornata a Venezia e al Lido molte altre volte. E ogni volta è stato un privilegio".
Ha paure per il cinema?
"Molte. Ma l’industria del cinema deve essere coraggiosa, più creativa e più resiliente di sempre. Veniamo da mesi di streaming, e adesso dobbiamo riaprire le sale".
Il festival di Berlino lancerà i premi "gender free": ci sarà un Orso per l’interpretazione, senza distinzione se maschile o femminile. Che ne pensa?
"Beh, io non penso a me stessa come a una “attrice”, ma come a un artista, senza pensare al sesso. Una buona performance è tale, a prescindere dall’orientamento sessuale di chi la produce. L’aspetto più difficile e delicato è giudicare il lavoro di altri colleghi".