di Giovanni
Serafini
Ci sono ancora le cicche nel portacenere, un pacchetto di Gitanes accartocciato, una bottiglia di Bordeaux aperta e non consumata. Il tempo si è fermato, nulla è cambiato. Ci sono i suoi dischi d’oro in cornice, le baskets bianche che Repetto creò per lui, un ritratto di Brigitte Bardot splendida e nuda, le foto delle sue compagne, da Jane Birkin a Bambou, mille istantanee di una vita di sbronze, di eccessi, di notti insonni, di creazione in solitudine, di decadenza fisica, di geniali impennate. Siamo a Parigi in rue de Verneuil numero 5 bis, a due passi dalla Senna rive gauche. Qui il 2 marzo 1991 Serge Gainsbourg venne trovato morto in camera da letto, stroncato dalla quinta crisi cardiaca. Aveva appena terminato un nuovo album di canzoni. Si preparava a partire per la registrazione a New Orleans.
Trent’anni dopo i suoi fans non lo hanno dimenticato: centinaia di graffiti lungo la strada che costeggia l’immobile testimoniano l’amore incondizionato per il loro idolo. Fra qualche mese potranno anche provare l’emozione di entrare nel suo appartamento, respirarne l’aria e gli odori, passare in rassegna gli oggetti che hanno accompagnato la sua vita, fingere che lui sia ancora lì, una sigaretta fra le labbra, sdraiato sul divano nel buio del salotto.
È la decisione presa da sua figlia Charlotte Gainsbourg, nata nel 1971 dalla storia d’amore di Serge e Jane Birkin, dodici anni di passione e di tormento. "Apro al pubblico la sua casa trasformata in museo. Non è stata una scelta facile. Per tutto questo tempo è stata il mio rifugio nei momenti in cui volevo essere sola col fantasma di mio padre: dopo la sua morte non sono mai riuscita ad andare a trovarlo al cimitero, c’era sempre troppa gente. L’unico modo per ritrovarlo e stare con lui era venire qui, in questo antro mitico e protetto che custodisce i nostri ricordi. Una sola stanza resterà chiusa ai visitatori: la camera da letto. È un pezzo di lui che voglio tenere solo per me. Un luogo intimo in cui mi sento protetta e felice, come quando ero bambina".
Non è un appartamento lussuoso. In origine c’erano le scuderie di un palazzo nobiliare. Soffitti bassi. Centotrenta metri quadri in tutto. Al piano terra un grande salone e una minuscola cucina. In alto, accessibili da una piccola scala, la camera da letto, il bagno, una stanzina in cui Jane Birkin teneva la sua collezione di bambole, un ufficio con la macchina da scrivere su cui Gainsbourg batteva i testi delle canzoni. Poca luce. Tutti i muri sono tappezzati con tessuti di colore nero.
Dovunque sono distribuiti ninnoli, arazzi, paraventi, statue provenienti da viaggi esotici, giornali con interviste d’epoca, un lampadario veneziano, una pianola elettrica (il pianoforte a coda non c’è più), flaconi di profumi, accendini zippo, tutta una serie di topi di bronzo, centinaia di fotografie (Gainsbourg nella vasca da bagno, Charlotte bambina, BB che sorride, un nudo di Caroline von Paulus detta Bambou)…
Spicca al posto d’onore un calco che riproduce a grandezza naturale il corpo di Jane Birkin: "Mi commuovo sempre quando lo guardo – commenta Charlotte Gainsbourg – Questa è la perfetta antologia della nostra vita, sembra un caravanserraglio e invece tutto è perfettamente organizzato. Chi veniva a trovarci restava allibito davanti a quel gran casino. Ricordo che se qualcuno prendeva un oggetto per esaminarlo e poi lo risistemava a caso, mio padre aspettava che guardasse da un’altra parte per alzarsi e rimetterlo esattamente dov’era prima".
Romantico e scandaloso, ingenuo e provocatore, un uomo che a forza di abusi fisici, alcolici e tabacco ha consumato anzitempo la sua vita. Un matrimonio fallito con Lise Levitzky (dal 1951 al 1957), un’appassionata relazione di tre mesi con Brigitte Bardot nel 1967, dodici anni (fino al 1980) con Jane Birkin, altri dieci con la cantante e mannequin Bambou, tante storie occasionali, tanti progetti nati e subito morti: "Mio padre era un poeta. Non ci sono più oggi personaggi come lui, con tanta umanità, tante ferite, tanto amore, violenza, carisma e talento", dice ancora Charlotte.