Venerdì 2 Agosto 2024
ANDREA SPINELLI
Magazine

Davide Ferrario: “Chitarra e Pezzali così vado al Max”

Capitano in pectore dello squadrone del tour dell’ex 883: "Siamo una generazione che vuole tornare a sognare"

Davide Ferrario

Davide Ferrario

Milano, 2 agosto 2024 – Lui è l’uomo dell’ultimo passaggio, il centrocampista dai piedi buoni e la visione di gioco sempre capace di calibrare l’assist giusto per mandare in rete il bomber. Nella circostanza Max Pezzali, uno dei trionfatori di quest’estate negli stadi. Lui è Davide Ferrario, 42 anni, chitarrista, responsabile delle programmazioni, oltre che direttore musicale dello show e quindi capitano in pectore dello “squadrone” evocato dalla canzone.

Davide, com’è nato il suo sodalizio con Max?

"In maniera abbastanza casuale, da un incontro in un bar di via Castel Morrone a Milano col suo ex chitarrista Sergio Maggioni. Lui se ne voleva andare e, tra una chiacchiera e l’altra, m’ha chiesto se fossi interessato a prenderne posto. Avendo annusato, da fuori, che attorno a Pezzali regna un bel clima, non me lo sono fatto ripetere due volte".

Se l’è data una spiegazione sul perché Pezzali, nonostante l’epopea 883, sia diventato un eroe da stadi solo nel 2022, a 54 anni?

"L’ho capito quando ho iniziato a suonarci assieme. Fino a quel momento m’ero abbastanza disinteressato dei suoi dischi, ma evidentemente non delle sue canzoni visto che, una volta avuta tra le mani la scaletta dello show da provare, mi sono reso conto di conoscerle tutte a menadito".

Allora: perché?

"Perché Max racconta una generazione che è sostanzialmente la mia, nata tra gli anni ’80 e i ’90, mossa da un gran desiderio di ritrovare quei tempi e quei sogni lì. Sottopalco ogni sera noto un effetto nostalgia molto forte, con gente che piange, che ride, che si diverte tirando fuori un ventaglio di emozioni enorme. Gente coi figli ormai cresciuti, e quindi un po’ più libera di prima da obblighi familiari, smaniosa di riprendersi le sue vecchie passioni. Le canzoni di Max hanno una potenza di fuoco incredibile, ma piace tantissimo pure il suo lato umano, che spinge la gente a sentirlo come un parente o come un vicino di casa, lontanissimo dall’allure della star".

Un fatto di costume, oltre che artistico, insomma.

"Mi sono reso conto che, dopo il ritorno in auge gli anni Ottanta, ora sono tocca ai Novanta, perché ad alimentare certi fenomeni è probabilmente la generazione dei quarantenni; attorno a quell’età, evidentemente, scattano dinamiche mentali che ti mettono addosso una gran voglia di recuperare sogni e passioni di quando avevi quindici-vent’anni".

Parliamo di sequenze di cui nei concerti oggi c’è un uso e, a volte, un abuso.

"Dipende dagli artisti e dall’uso che ne fanno. Ogni caso fa storia a sé. Per quanto mi riguarda, nel concerto di Max le uso per sonorità difficili da riprodurre live come la sirena de Hanno ucciso l’Uomo Ragno, qualche arpeggiatore e qualche coro di rinforzo perché sul palco siamo pochi e non possiamo fare tutto. Tutto il resto è rigorosamente live. D’altronde siamo gente cresciuta nell’era delle band e se alla musica che facciamo togli quello spirito di condivisione è la fine".

La prima collaborazione non si scorda mai e la sua è stata con Franco Battiato. Avete lavorato assieme per 12-13 anni.

"Prima di avviare il mio cammino solista stavo negli FSC, trio con cui nel 2007 ho tentato pure l’avventura di Sanremo. Tre anni prima, però, in un club di Monselice, la nostra città, io e i miei compagni avevamo aperto un concerto degli Audiorama. Tra il pubblico c’era pure Raffaele Stefani, assistente di Pino Pischetola, fonico e produttore di Franco, che a fine show ci chiese un demo. Non avremmo certo potuto immaginare che Battiato fosse alla ricerca di una formazione giovane a cui affidare gli interventi rock dell’album Dieci stratagemmi. Per me quel disco ha segnato l’inizio di una lunga collaborazione col compositore siciliano, che mi ha portato ad affiancarlo in tutte le esperienze live tranne l’ultima, il tour con Alice, perché ero impegnato in tv come vocal coach a The Voice nella squadra di Pezzali".

Lei ha suonato pure con la Nannini.

"Sì, ma non fu un’esperienza molto nelle mie corde. Ero giovane e ricordo che durante il tour europeo telefonavo a mia madre piangendo per dirle che non ce la facevo più".

Come vede il futuro?

“Sto pensando seriamente di tornare a vivere a Monselice. All’inizio il trasferimento a Milano m’era parso una forma di riscatto su una provincia da cui mi sentivo pure un po’ bistrattato e fino a 4-5 anni fa è stato amore totale. Poi la passione per la natura e quella per la bicicletta (collabora pure con Bike Channel - ndr) hanno iniziato a riportarmi a casa ogni weekend. E ora ho una gran voglia di riappropriarmi dei miei spazi".

Con chi le piacerebbe prendere un caffè?

"Col filosofo Umberto Galimberti. Oppure, perché no, con Giuseppe Cruciani, m’incuriosisce molto. Onde evitare delusioni, invece, preferirei tenermi il più lontano possibile dai miei idoli musicali: non vorrei incontrare Thom Yorke né Noel Gallagher, Damon Albarn o Hans Zimmer. Anche perché, da timido introverso quale sono, probabilmente non aprirei bocca".