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Simone Cristicchi
Bologna, 24 novembre 2018 - Monologante, intenso, assorto in un’aura di fantastica contemplazione delle piccole cose che vivificano il mondo, vola leggero Raffaello, alias di Simone Cristicchi, seguendo una mappa dell’anima che lo aiuterà a trovare il suo posto nel mondo. Lo fa raccontandosi alla madre esanime sul letto di morte, che assolve per averlo abbandonato in un orfanatrofio. 'Manuale di volo per uomo', pièce giusta per chi vuole imparare a volare, l’ultima invenzione del cantattore romano narra il riscatto di un quarantenne che sa stupirsi come un bambino: Raffaello, appunto, per molti un sommerso tra gli invisibili, per altri un quasi genio accartocciato su se stesso che coglie i nessi più inesplorati dell’esistente, inattingibili ai più. Nemesi di umore caravaggesco scritta a quattro mani con Gabriele Ortenzi per la regia di Antonio Calenda, musiche originali del cantattore e di Valter Sivilotti, in scena giovedì 29 al Duse di Bologna, con tappe il 6 e 7 dicembre al Puccini di Firenze.
Raffaello è un tipo speciale? «Lui risponderebbe di sì perché possiede dei poteri con cui mette a fuoco dettagli che sfuggono agli altri. Come quando chinandosi su un tarassaco, fiore dell’alternanza tra giorno e notte che spunta dall’asfalto, scopre che mima le difficoltà della vita».
Da emarginato in un certo senso privilegiato? «Sì, perché vede il mondo da un’angolazione di poesia. Credo che la follia intrepretata filosoficamente sia qualcosa che possa anche salvare. Con me è accaduto: rimasto orfano di padre a dodici anni scoprii nel disegno e nel fumetto una via d’uscita».
Dove trova Raffaello la magica bussola? «Lo suggerisce il regista Calenda: la pièce racconta una resurrezione che da una vita drammatica si evolve fino al volo finale, al recupero della tenerezza, della spensieratezza, della poesia. Tutto si svolge all’ interno di una stanza bianca, uno spazio mentale in cui ripercorre trascorsi fatti di ferite, ma anche di incontri con persone che lo aiuteranno a volare. Come Suor Matilde che conosce all’istituto per orfani, brava a indicargli le leggi della natura».
Così il rapporto distorto madre-figlio finisce per riscattarsi? «Si addolcisce, diventa credibile, di autoassoluzione reciproca. Alla madre morente racconta di zia Margherita, maestra in pensione che gli darà delle nozioni sulle piante. O del meccanico Vincenzo. O del padrone di una ferramenta dove regna l’ordine. O di Angelo, il guardiano di un garage. Ciascuno dei quali gli insegna qualcosa».
Quanti ce ne sono dei simil-Raffaello che privi del magico zibaldone di aforismi finiscono per perderla, invece, la bussola? «Tanti. È il male di un’epoca in cui siamo abituati a vedere il dolore degli altri e passare oltre. La voglia di volare di Raffaello, che sembra voler lasciare la carne per un senso abbandono, in realtà prende forma nell’arte. Come quando a Sanremo montai su una sedia per volare intonando Ti regalerò una rosa».
Una trama che ingolosirebbe Tim Burton per un cartoon? «Ipotesi un po’… fuori manuale».