Sabato 27 Luglio 2024

Cristiani per il socialismo:. Kocci racconta i “fuori posto“

Troppo socialisti per la Chiesa, troppo cristiani per la sinistra. Fuori posto in politica come nella religione. È stato questo...

Troppo socialisti per la Chiesa, troppo cristiani per la sinistra. Fuori posto in politica come nella religione. È stato questo il destino dei Cristiani per il socialismo negli anni successivi al Concilio Vaticano II, della strategia della tensione, dei referendum sul divorzio e sull’aborto che traghettarono l’Italia nelle acque profonde della secolarizzazione. Più che un’esperienza politica, sorta nel 1973 a Bologna – culla di quell’Emilia dalla dialettica propulsiva tra gli spiriti guareschiani di don Camillo e Peppone –, si trattò di un modo d’intendere il Vangelo secondo le coordinate della laicità e della denuncia marxista.

A raccontarlo è il giornalista Luca Kocci nel suo Cristiani per il socialismo 1973-1984, la prima ricostruzione storica del fenomeno, con la prefazione del vescovo rosso Luigi Bettazzi al suo ultimo scritto prima della morte giunta alle soglie del secolo di vita. Certo a decretare la fine dei Cristiani per il socialismo sono stati i dissidi interni al movimento e l’ostracismo della Chiesa istituzione, elefantiaca nell’attuare la lettera del Concilio e solerte nel soffocarne lo spirito. Ma i partiti di sinistra ebbero un ruolo tutt’altro che secondario in questa eclissi.

Anche per una ricerca del potere, Pci e Psi privilegiarono il dialogo con la Gerarchia ecclesiale, contribuendo così

a marginalizzare figure effervescenti come Gulio Girardi, dom Giovanni Franzoni e Giancarla Codrignani nel loro tentativo di rompere l’unità politica dei cattolici e realizzare un socialismo dal volto umano.

Erano gli anni in cui liberalismo e individualismo iniziavano a ridisegnare l’identità a sinistra, gli anni del progressivo tradimento del noi del ’68, più nella politica ancora che nella Chiesa popolo di Dio.

Giovanni Panettiere