Giovedì 26 Settembre 2024
SILVIA GIGLI
Magazine

“Io, vittima di sessualizzazione e misoginia”: le confessioni perdute di Liz Taylor

“The Lost Tapes” è il film della regista Nanette Burstein che ridà voce alla diva in una versione tanto autentica quanto dolorosa, basandosi sulle 40 ore di interviste rilasciate da Liz nel ‘64 allo scrittore di “Life” Richard Meryman, scomparse per anni e ritrovate adesso

Liz Taylor: "The Lost Tapes"

Liz Taylor: "The Lost Tapes"

Londra, 24 settembre 2024 –  La diva dagli occhi viola e dal carattere volitivo fu vittima di misoginia e violenza domestica. Un nuovo documentario Hbo che raccoglie ore di racconti della famosa attrice narra la sua vita e la sua carriera e rivela i soprusi che la celeberrima Liz dovette affrontare. “The Lost Tapes” è il titolo del film firmato dalla regista Nanette Burstein.  La regista mette in luce i limiti della voce di Taylor, spiegando come l’attrice intensamente glamour, che appariva così focosa e senza filtri in “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, spesso si mordeva la lingua o interiorizzava i costumi repressivi dell’epoca. Addirittura "doveva fingere di essere felice con i ruoli più tradizionali”. Burstein si riferisce a un periodo in cui Taylor pensò di abbandonare la recitazione per dedicarsi a essere una brava moglie. “Nel frattempo, usciva ed era una tosta. Diceva una cosa e ne faceva un’altra”.

Il film di Burstein, che ha JJ Abrams tra i suoi produttori, è incentrato sulla riscoperta della voce giocosa, accattivante, spesso complicata e passionale di Taylor, e forse anche sulla capacità di dire le cose che non è riuscita a dire in pubblico. Trae spunto da 40 ore di interviste che nel 1964 Liz ha rilasciato allo scrittore della rivista “Life” Richard Meryman, che avrebbero dovuto essere la base per un libro che poi l’autore non scrisse mai. Le conversazioni mai ascoltate prima, che hanno avuto luogo nel periodo durante il quale la diva raggiunse l’apice della fama, sono state abbandonate in una soffitta fino alla scomparsa di Meryman nel 2015.

"Non ero un granché bella, ma forse a causa della mia vita privata evocavo suggestioni sconvenienti: ma non c’era niente di sconveniente in me, né di immorale”. Quando comincia a parlare con Meryman, Elizabeth Taylor (1932-2011) ha trentadue anni, due figli, quattro divorzi: è l’anno in cui sposa il suo quinto marito, Richard Burton. Quando inizia a parlare con Meryman – forse scelto perché era quello che, due anni prima, aveva fatto l’ultima intervista a Marilyn Monroe – Liz ha già fatto quasi tutto. “Venere in visone” e “Improvvisamente, l’estate scorsa”, “La gatta sul tetto che scotta” e “Il gigante”. Soprattutto, ha già fatto “Cleopatra”, il film durante il quale ha conosciuto Richard. Non ha ancora fatto “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, insuperato capolavoro nonché picco della coppia e delle sue dinamiche morbose: quelle in cui lui era il grande attore e lei era la diva. C’è un filmato della Bbc del 1967 in cui un intervistatore chiede a Burton come mai abbia mollato il teatro e si sia svenduto al cinema, Taylor insorge chiedendogli come si permetta, e Burton interviene dicendole di darsi una calmata: è forse il momento in cui più abbiamo modo di vederli nella loro intimità.

Liz dice che lei ha sempre pagato per i suoi errori, ma "so che il conto non finirò mai di pagarlo”. Il film dura un’ora e tre quarti, inizia con la bambina così bella che la prima volta che la mettono davanti alla macchina da presa le chiedono di togliersi il rimmel, ma quelle sono le sue ciglia al naturale; la verginità che non perde per i primi tre giorni di viaggio di nozze; George Stevens che sul set del “Gigante” le dice che non sarà mai una vera attrice perché è troppo preoccupata di risultare belloccia e il rapporto ambivalente con James Dean. Il documentario rivela i retroscena della sua vita mostrando non solo la star ma anche la persona che si nascondeva dietro quell’icona. “C’è la persona che conosce la mia famiglia e c’è l’Elizabeth Taylor merce, una fatta di carne e ossa e l’altra di cellofan“, confessa l’attrice, evidenziando la dicotomia tra la sua immagine pubblica e la sua vita privata.

Nonostante il successo e la notorietà, la Taylor cercò di allontanarsi dal mondo del cinema per vivere una vita normale, ma fu spinta dalla madre a proseguire la sua carriera. Questo contrasto tra il desiderio di normalità e la realtà di una vita sotto i riflettori emerge chiaramente nel documentario. Non solo abbracciò la sua fama ma la utilizzò per cause importanti, diventando una delle principali attiviste LGBTQ e una figura chiave nella lotta contro l’HIV/AIDS. La sua dedizione a queste cause umanitarie dimostra una profondità e un impegno che vanno oltre la sua immagine di diva del cinema. “Elizabeth Taylor: The Lost Tapes” è un modo per ascoltare la voce di Elizabeth Taylor e conoscere meglio una delle figure più complesse e affascinanti della storia del cinema. Grazie alle registrazioni inedite e al materiale d’archivio, il documentario offre uno sguardo autentico sulla vita di una donna che, nonostante tutte le difficoltà e le sfide che la vita le presentò, ha saputo affascinare e far innamorare il mondo intero.

All’amica che una volta le chiese perché li sposasse tutti, lei rispose: "Voglio essere una sposa”, e poi incontrò il primo amore della sua vita: Mike Todd. Che morì in un incidente aereo. La vedova tornò a girare “La gatta sul tetto che scotta” (“mi sembrava che tornare a lavorare fosse l’unico modo di conservare la mia sanità mentale”), e si mise con un amico del defunto, Eddie Fisher, incidentalmente sposato con Debbie Reynolds, già damigella alle nozze di Liz e Mike. Nel film ci sono alcuni secondi di Liz che parla del suo grande amore con Mike e dell’anello di fidanzamento da “ventinove carati e sette ottavi, perché trenta carati sarebbe stato volgare”. Lo fa vedere alla telecamera e aggiunge che il diamante sembra una pista di pattinaggio. Un intervistatore decisamente misogino le dice “una volta hai detto che eri una bambina nel corpo di una donna”, e lei “sì, avevo quindici anni», e lui insiste, «volevo sapere se da quando hai sposato Mike sei maturata”, e lei: “lo spero, altrimenti sarei ritardata”. Poi arriva Eddie e perciò si mormora che l’Oscar per “Improvvisamente, l’estate scorsa” non glielo avessero dato perché era una sfasciafamiglie. Però glielo danno l’anno dopo, per “Venere in visone”.

Al tempo di “Cleopatra” e del fatale incontro con Richard Burton George Hamilton sosteneva che la parola «paparazzi» nacque per identificare i fotografi che inseguivano la Taylor e Burton, e facevano una cosa diversa da quella che avevano fatto fino ad allora: "Non erano più in cerca del glamour, ma della distruzione del glamour”. Liz raccontò ridacchiando a Meryman: “Richard è arrivato sul set, e non ho mai visto un gentiluomo con dei postumi di sbronza così enormi”. C’è anche una registrazione di Burton che dice che cercò di farseli passare col caffè, ma era così sbronzo che non riusciva a portarsi la tazza alla bocca e quindi le chiese di aiutarlo. Diceva il personaggio di Liz Taylor in “Chi ha paura di Virginia Woolf?” che i pantaloni in quella casa li portava lei, perché qualcuno doveva pur portarli. Burton in un’intervista televisiva affermò che il film era andato benissimo, “Liz ha vinto un Oscar, disse lui con amarezza, e io no, disse con altrettanta amarezza”. Liz a Meryman confessa che “il solo fatto che ci amiamo è un rifugio”.

Queste conversazioni contengono chicche per gli appassionati di cinema, come sentire Taylor descrivere la sensibilità con cui George Stevens la diresse in “Un posto al sole” e la sua ostilità nei confronti della sua celebrità sul set de “Il gigante”. Ricorda anche il suo periodo con James Dean e come la cupa star oggetto di amore incondizionato di milioni di fan giocasse con i suoi sentimenti, mostrandosi incredibilmente caloroso e vulnerabile un giorno, e poi comportandosi come se la conoscesse a malapena il giorno successivo. Queste intuizioni sincere sono espresse con una notevole autoconsapevolezza e mostrano l’empatia di Taylor, che si rivela particolarmente pronunciata quando spiega quali bisogni emotivi l’abbiano spinta ad intraprendere ogni relazione, buona o cattiva. Burstein attribuisce l’autoconsapevolezza di Taylor al fatto di essere cresciuta troppo in fretta. Dopotutto, era un’attrice bambina, confezionata sulle riviste come una “bomba sensuale”. “Dovevo comportarmi come una donna sofisticata - dice Taylor nelle interviste registrate da Meryman -. E nel mio mondo ero una bambina terrorizzata”.

Burstein sottolinea che Taylor aveva solo 22 anni quando girò “Il gigante". Era al suo secondo matrimonio con due figli ed era già stata segnata dagli abusi domestici. “Ha vissuto così tanto la vita e così velocemente che penso tutto questo le abbia permesso di capire più degli altri. Probabile che Liz, così come Marilyn, avesse una spiccata sensibilità e una capacità di introspezione fuori dal comune. Il che non le impediva di subire e di soffrire, perfettamente consapevole delle ingiustizie perpetrate nei suoi confronti”. 

I nastri delle conversazioni di Taylor con Meryman in inverno arriveranno in Italia (su Sky e Now).