Martedì 16 Luglio 2024

Il Coronavirus non sarà l'ultima pandemia

Scienziati britannici stanno elaborando un sistema per prevedere quale sarà la prossima malattia globale, nel tentativo di farsi trovare pronti

La scienza lavora sulla prossima pandemia

La scienza lavora sulla prossima pandemia

All'interno della comunità scientifica molti sostengono che la pandemia da Coronavirus sia stata possibile anche grazie alla progressiva invasione dell'ambiente naturale da parte dell'uomo. Siccome una radicale inversione di rotta è impraticabile, quantomeno nel breve periodo, il rischio è che una nuova malattia possa diffondersi altrettanto rapidamente.

Per evitare di farsi trovare impreparati, un gruppo di scienziati dell'Università di Liverpool ha messo a punto un sistema per prevedere quali patologie della fauna selvatica hanno maggiori probabilità di essere trasmesse all'uomo. Il lavoro dei ricercatori si inserisce in uno sforzo globale che vede analoghe iniziative portate avanti in altre parti del mondo.  

Ambiente naturale a malattie

È convinzione sempre più diffusa che la deforestazione e la coltivazione di vaste aree, con la conseguente diminuzione della biodiversità, stiano aiutando le malattie a diffondersi dagli animali agli umani più frequentemente e più rapidamente. Solo negli ultimi vent'anni abbiamo avuto Sars, Mers, ebola, influenza aviaria e influenza suina. Poi è arrivato il Coronavirus, che ha colpito il mondo intero, diffondendosi molto velocemente e cogliendo impreparate la sanità e la politica. Ma, con le parole del professor Matthew Baylis dell'Università di Liverpool: "Questa non sarà l'ultima pandemia che dovremo affrontare, dunque dobbiamo studiare con maggiore attenzione le patologie tipiche della fauna selvatica".  

Prevedere future pandemie

L'idea degli scienziati di Liverpool è di mettere a punto un sistema capace di incrociare i dati di ogni malattia conosciuta degli animali selvatici, sviluppando dei modelli predittivi legati alle migliaia di batteri, parassiti e virus noti alla scienza e legati anche alle specie che infettano. Se gli algoritmi si riveleranno azzeccati, allora si potranno evidenziare gli agenti patogeni con maggiori probabilità di trasferimento dagli animali all'uomo. Di conseguenza si potranno indirizzare gli sforzi degli scienziati, prima ancora che si verifichi un focolaio, nella ricerca di sistemi di prevenzione o dei trattamenti medici qualora la malattia si diffonda. Matthew Baylis sottolinea che siamo di fronte a "un primo passo nel tentativo di identificare quale potrebbe essere la prossima pandemia". L'aspetto per certi versi inquietante è che Baylis e colleghi danno per scontata una nuova malattia globale. Il nostro stile di vita ha infatti "creato la tempesta perfetta in fatto di emergenza pandemica". Il professor Eric Fevre aggiunge: "Assistiamo al manifestarsi di nuove malattie tre, quattro volte l'anno. Non solo in Asia o Africa, ma anche in Europa e Stati Uniti". Dunque una pandemia come quella da Coronavirus "è molto probabile che accadrà ancora e ancora". Da qui l'importanza di un sistema che possa identificare anticipatamente quali patogeni rappresentano il rischio più grande per l'uomo.