Cinquant’anni fa, il 14 dicembre 1974, il presidente del Consiglio Aldo Moro firmava il decreto legge istitutivo del ministero per i Beni culturali e ambientali, oggi della Cultura. Il ricorso al decreto legge era giustificato nel rispetto della Costituzione dalla “necessità e urgenza” di arginare lo stato disastroso in cui si trovava il patrimonio nazionale.
L’assalto speculativo alle bellezze paesistiche, il degrado dei musei, privi di sistemi di allarme e di antincendio (quasi un terzo erano allora chiusi per mancanza di personale), i furti delle opere d’arte; il saccheggio sistematico delle aree archeologiche e quello del patrimonio artistico diffuso nel territorio, dalle chiese ai musei locali; il disinvolto commercio antiquario, organici ovunque insufficienti e sguarniti, la dirigenza impoverita e scombussolata per le conseguenze della legge sull’esodo…
Ministro fondatore, scelto personalmente da Moro, fu Giovanni Spadolini storico e giornalista – aveva diretto per tredici anni Il Resto del Carlino – da soli due anni in Parlamento. Con l’incarico ricevuto Spadolini intendeva avviare la realizzazione di un grande progetto, la centralità nella politica italiana della “questione” dei beni culturali: importanti, in un Paese come il nostro, quanto la sanità e la scuola.
"Non si tratta di creare un centro di potere – furono le sue parole in Parlamento – ma un centro di iniziativa intellettuale e politica, il più possibile sburocratizzato, il più possibile tecnico. Quasi un’agenzia in senso anglosassone".
Convinto, il neo-ministro, che per avere possibilità di successo l’impresa doveva coinvolgere tutti: dalle forze politiche di maggioranza a quelle di opposizione, i sindacati e le associazioni culturali, lo Stato e le Regioni (col delicato compito della definizione delle rispettive competenze). Soprattutto egli riuscì a motivare, restituendo loro convinzione e dignità, il personale tecnico e scientifico delle belle arti, delle biblioteche, degli archivi, i soprintendenti che avevano operato in mezzo a "spaventose e inimmaginabili" difficoltà.
In Parlamento si ebbe un doppio “miracolo”: la conversione in legge del decreto istitutivo in soli quarantuno giorni, nonostante le vacanze natalizie a sette giorni dalla presentazione, e il passaggio immediato degli Archivi, provenienti dal ministero dell’Interno, non previsti nel testo originario.
L’impegno di Spadolini, alla guida di un ministero con scarse disponibilità economiche (la dotazione iniziale fu “ritagliata” da una branca della Pubblica Istruzione) fu duplice: da un lato dar vita alla struttura del ministero, dall’altro fronteggiare l’emergenza sollevando energie e risorse, quale le condizioni critiche richiedevano, con decisioni e interventi non più prorogabili.
A soddisfare il primo obiettivo furono i decreti delegati; il secondo le leggi immediate sull’adeguamento dell’organico dei custodi e delle guardie notturne dei musei e degli scavi, volte a tamponare le paurose falle del settore, evidenziate in modo drammatico dal furto dal museo di Urbino dei capolavori di Piero della Francesca (poi ritrovati); sulla prevenzione antifurto e antincendio delle opere d’arte; sull’autonomia contabile e amministrativa della Biblioteca nazionale di Roma, a rischio chiusura per assenza di fondi a un mese dalla sua apertura.
Un’"emergenza permanente", la definiva il ministro, spostandosi da una parte all’altra d’Italia per interventi tempestivi: per la cupola del santuario della Madonna di Vicoforte o per Venaria Reale, ridotta a una “selva oscura”; per il crollo del tetto della casa di Giuseppe Giusti o per l’abbandono della villa reale di Monza; per il recupero della dimora di Giuseppe Garibaldi a Caprera o per la difesa della Laguna di Venezia…
A conclusione della esaltante esperienza Spadolini disse di avere ereditato la Caporetto dei beni culturali, ma pur non arrivando alla vittoria finale era riuscito a far rivivere la leggenda del Piave, arrestando il degrado ed aprendo la via al recupero del patrimonio.