Roma, 4 novembre 2024 – È emotivo, è istintivo, è passionale. Vincent Lindon vive con estrema intensità ogni momento. Era il padre vigile del fuoco, macho, ma amoroso e protettivo verso il figlio/figlia Alexia in Titane di Julia Ducourneau, Palma d’oro a Cannes. Era la guardia giurata del grande supermercato, costretto a denunciare e sorvegliare per tenersi stretto il lavoro, ne La legge del mercato, il film che gli valse il premio come miglior attore a Cannes 2015. Vincent Lindon ha 65 anni, gli occhi chiari, la faccia ruvida da impunito, da attaccabrighe. Ma, lo capisci presto, ha un cuore immenso.
Ha vissuto tante vite, Vincent Lindon. Un’infanzia borghese in Normandia, la madre innamorata della propria libertà, la famiglia che si sfascia, trauma infantile mai più ricomposto. I vent’anni con la voglia immensa di recitare, di affermarsi, di essere amato. Gli esordi, gli amori che fanno notizia – Claude, la figlia di Jacques Chirac, poi CarolIna di Monaco, la relazione con Chiara Mastroianni – e infine i molti ruoli importanti. È, oggi, forse l’attore più conosciuto del cinema francese. Ma quando è stato premiato, a Venezia, con la coppa Volpi per Jouer avec le feu, sul palco non ha saputo trattenere l’emozione, e ha investito il microfono con sette minuti di monologo appassionato, vibrante, commosso, grato all’universo per quel premio. Pochi giorni fa, a Firenze, Vincent Lindon ha ricevuto un altro premio, la Foglia d’oro del festival France Odéon, appena conclusosi. A Firenze, Lindon ha mostrato i suoi due ultimi film: Jouer avec le feu e Le choix, remake francese di Locke di Steven Knight.
Lindon, Le choix segue, sequenza per sequenza, Locke. Ma la sua interpretazione porta al personaggio un’intensità inedita. Come ha lavorato al progetto?
"Non faccio mai remake, ma in questo caso ho deciso di farne uno. Ma ho scelto di non vedere Locke. Non volevo farmi influenzare, pensare ‘non riuscirò mai a fare qualcosa di simile’. Allora ho messo l’originale da parte, e mi sono tuffato nel copione".
Che cosa l’ha portata ad amare il personaggio?
"Era un esercizio di stile difficilissimo: fare tutto un film dentro un’auto, senza altri attori. Era come fare una scalata alpina senza aiuti. Quando ho accettato di lanciarmi dentro questa impresa in solitaria, che mi faceva un’enorme paura, mi sono gettato".
Qual è il suo metodo? È istintivo o razionale?
"No, io devo passare per l’istinto, devo passare per il corpo. Non è un metodo intellettuale. Devo incarnare il personaggio, con tutto me stesso. Cerco di recitare così come vivo. Sempre. Devo capire come mi muovo, come si colloca il mio corpo. Non penso al personaggio, lo vivo. Non so ‘come si fa’ a fare l’attore. Se lo sapessi, se tutto fosse questione di tecnica, smetterebbe di interessarmi".
Come è il suo rapporto con i personaggi che interpreta?
"È uno scambio, un commercio: io do qualcosa di me a loro. Ma loro, in cambio, mi devono dare qualcosa, che mi porto dietro per tutta la vita. Altrimenti, non è uno scambio equo!".
In Jouer avec le feu interpreta un padre alle prese con un ragazzo che vive una deriva fascista, razzista.
"Il premio è stato una sorpresa e un motivo d’orgoglio immenso. Il film parla di un tema molto forte, la cosiddetta radicalizzazione dei giovani. Ma non è questa la ‘grande storia’ del film. Per me, è una storia d’amore fra un padre e un figlio".
Avrebbe voglia di lavorare con un regista italiano?
"Una voglia immensa. Ma non le dico i nomi dei registi, per scaramanzia".
Che cosa sta preparando adesso?
"Sto per interpretare il nuovo film di Ruben Ostlund, il regista del Triangolo della tristezza. Si chiamerà The Entertainment System is Down. Sarà ambientato in un aereo, durante un volo a lunga percorrenza nel corso del quale si guastano tutti i sistemi di intrattenimento, i film, le connessioni web. E la gente, rimasta sola con se stessa, impazzisce".
È vero che ha sempre un quadernetto in cui annota e poi spunta tutte le cose che fa, da anni, sempre a mano?
"Certo che sì. Aspetti, che glielo faccio vedere". È un quaderno minuscolo, pieno di appunti semplici. In una delle ultime pagine c’è scritto: "Intervista". Vincent prende un pennarello, e spunta quest’ultima parola. L’ha appena fatta.