“Un atto di passione”. È così che Giuseppe Battiston definisce ‘Stucky’, la serie tv liberamente ispirata ai romanzi di Fulvio Ervas (Marcos y Marcos) in cui presta il volto all'ispettore del titolo. “Una persona moderna, talmente calata nella sua realtà che ogni tanto si fa un bicchiere e si fuma un bel sigaro. Però non è calato nella contemporaneità della digitalizzazione. Non ha un telefono cellulare, non ha un computer e non ha neanche la patente. Quello che ha è la curiosità verso le persone. Ecco perché il suo quartier generale non è una questura, ma una trattoria”.
Sei episodi da sessanta minuti – prodotto da Rai Fiction, Rosamont e Rai Com - con il primo in anteprima su RaiPlay il 28 ottobre e dal 30 ottobre in prima visione su Rai2. Dietro la macchina da presa Valerio Attanasio chiamato a dirigere un cast che comprende anche Barbora Bobulova, Diego Ribon, Alessio Praticò e Laura Cravedi. “Una cosa che contraddistingue questa serie è la qualità del lavoro espresso dagli attori”, sottolinea Battiston. “Siamo riusciti a coinvolgere degli interpreti di livello piuttosto alto che hanno portato la loro qualità nei personaggi scritti per loro. Sono stati in grado di aggiungere degli elementi che li hanno resi ancora più profondi. Si sono creati dei rapporti tra personaggi che nemmeno avevamo immaginato in scrittura. Ad esempio, la prima puntata vede protagonisti Thomas Trabacchi e Marina Rocco che hanno fatto un lavoro meraviglioso. Il personaggio di Marina nella scrittura veniva fuori a fatica, lei è riuscita a rendergli una tridimensionalità di una bellezza rara”.
A fare da sfondo agli omicidi e alle indagini dell'ispettore Stucky, Treviso. “Il suo centro storico non è mai stato inquadrato in una serie”, sottolinea Attanasio. “Al cinema dobbiamo tornare indietro a Signore & Signori di Pietro Germi. Mi sembrava quasi di girare in un teatro di posa. Ci piaceva l'idea di ambientare lì la serie anche per mettere Stucky a contatto con un mondo ricco e borghese che, a volte, si porta dietro anche un po' di supponenza e arroganza nei suoi confronti”.
Solitario, poco loquace, con pochissime relazioni personali – dal medico legale Marina all'amico di sempre, Secondo –, Stucky è stato cucito addosso a Giuseppe Battiston. “Frequenta il personaggio da un po’, era chiaro che andasse ritagliato attorno a lui come attore e personalità”, afferma il regista. “Il tentativo che abbiamo fatto è stato quello di costruirlo in base alla struttura che avevamo scelto, che è completamente diversa dai romanzi. Noi, ad esempio, partiamo da un delitto e poi vediamo il percorso che l’ispettore compie per arrestare l'assassino. Quando lui entra in campo, lo spettatore sa già chi è il colpevole”.
Un aspetto in comune con Colombo, la leggendaria serie poliziesca statunitense che ha fatto da stella polare per quanto riguarda l'assetto narrativo. Ma che nulla ha a che vedere con l'interpretazione di Battiston. “Divento matto se mi vedo fare qualcosa che ha già fatto qualcuno. Ed è il motivo per cui qualche volta mi capita anche di litigare con registi che non sanno lavorare con gli attori e mi dicono: ‘Fai così, dilla così’”, confessa l'attore.
“Mi sono definito cintura nera di Colombo. Sono un fan sfegatato. E ho avuto anche la fortuna di conoscere Peter Falk. Ma quando si parla di lui mi vengono in mente i film di John Cassavetes. L’unica cosa che abbiamo in comune è che fumiamo il sigaro. Ma lui dei sigaracci orrendi, io dei toscani. Non amo l’imitazione. E poi era veramente un grande attore. Anche volendo imitarlo, sarebbe stato molto complesso”.