Sabato 31 Agosto 2024
GIOVANNI BOGANI
Cinema e Serie Tv

Venezia 81, la lezione di Pierfrancesco Favino ai giovani attori: “I ‘no’ servono a crescere”

"Non arrendetevi mai, io ci ho messo 15 anni prima di essere preso in considerazione Il grande artista non è quello che ti fa sentire ciò che sente lui, ma ciò che senti tu"

Pierfrancesco Favino

Pierfrancesco Favino

Venezia, 31 agosto 2024 - “Non pensate, ai provini, “devo piacere, come faccio per piacere al regista?“. No. Pensate “che cosa succede in questa scena?“. Fate poche cose semplici", dice Favino. "Quando ti dicono “bravo, ma non hai la faccia…“, beh: io per vent’anni “non ho avuto la faccia. Non vi scoraggiate. Io sono uscito dall’Accademia nel 1992, e sono passati quindici anni prima che avessi un po’ di riscontro. Ma dopo ogni rifiuto non me la sono mai presa con chi mi diceva che “non avevo la faccia“ o col destino, ma mi sono chiesto che cosa non avevo fatto io, che avrei potuto fare. A volte, sapendo che ero stato scartato, chiedevo comunque di fare un nuovo provino, perché non ero soddisfatto io di come avevo recitato".

Ieri alla Mostra Pierfrancesco Favino, 55 anni, è stato protagonista di una masterclass di un’ora e mezza dedicata ai ragazzi di “Generazione Do“, progetto di formazione per giovani attori curato da Daniele Orazi. "Che cosa significa recitare nel cinema? Significa perdere il controllo di te. Le scene migliori sono quelle che non sai come ti sono venute. Devi sentirti come uno che si tuffa e quando è in volo dice “che ne sarà di me?“. Ecco, recitare è questo. Lanciarsi in volo, senza salvezza. Chi ti salva è l’altro che risponde alla tua battuta, chi ti salva è il regista, chi ti salva è la storia che racconti. Il nostro lavoro consiste solo nel trovare il coraggio di staccare i piedi da terra. E io, come vivo il mio lavoro? Come un lavoro. Arrivo in orario, tratto tutti con rispetto, e rispetto me stesso e il mio lavoro, perché è importante per me".

Durante la masterclass, Favino parla anche di ‘Maria’, il film sulla Callas con Angelina Jolie diretto da Pablo Larraín, nel quale interpreta Ferruccio, il maggiordomo / tuttofare della leggendaria cantante lirica. "È un personaggio che quasi assorbe il dolore di Maria Callas. E ho pensato a rendere visibile questo dolore: Ferruccio zoppica un po’, dapprima quasi non ce ne accorgiamo, poi sì. Ho detto al regista: vuoi che renda visibile il dolore di Ferruccio? E così è nato questo personaggio fragile, che accudisce e protegge una donna leggendaria". Del regista, dice: "Larraín è entusiasmante, è capace di cambiare anche quando è sul set. A volte scrive una scena con una porta, e quando vai sul set la porta non c’è più, ha cambiato tutto. E tu devi scoprire all’istante come reagire". In un film nel quale tutto sembra molto scritto, molto ragionato, scopri che ha fatto irruzione l’imprevisto: "C’è una scena in cui Alba Rohrwacher, Angelina Jolie e io giochiamo a carte: beh, era del tutto improvvisata. Stavamo aspettando un cambio di scena, e Pablo ci ha visto giocare a carte: ci ha detto ‘Continuate, io vi riprendo!’. Episodi come questo ci hanno permesso di sentirci più uniti, di fare gioco di squadra".

E chi è un grande artista? "Non è quello che ti fa capire quello che sente lui: è quello che ti fa capire che cosa senti tu, tu spettatore. Gli artisti, i grandi artisti, sono quegli esseri che, per un miracolo, ci permettono di entrare in comunicazione con noi stessi, con le nostre emozioni più profonde".