Venezia, 2 settembre 2024 – Con una voce bassa, intrisa di immensa malinconia e dignità, Adrien Brody scolpisce la migliore interpretazione della sua carriera. Lo fa in The Brutalist di Brady Corbet, film fiume di tre ore e mezza. Brody interpreta László Tóth, un architetto ebreo ungherese sopravvissuto all’Olocausto, che fugge dall’Ungheria, e approda nel dopoguerra in un’America sospettosa, diffidente, razzista, che lo respinge e lo accoglie allo stesso tempo. Non è secondario notare che la carriera di Adrien Brody, adesso, sembra quasi un arco teso fra due interpretazioni memorabili, entrambe di artisti ebrei sopravvissuti all’Olocausto: questo personaggio e Wladislaw, intrappolato nella Polonia occupata da Hitler, nel Pianista di Roman Polanski, il film che gli ha portato, nel 2002, l’Oscar come miglior attore protagonista.
Nel lungo respiro, nelle tre ore e mezza di The Brutalist, c’è di tutto: l’orgoglio di un creatore, di un artista che vuole realizzare la sua visione, un artista che ha studiato al Bauhaus, quella architettura che il nazismo rifiutava; c’è una storia di talento, di determinazione, di umiliazione. Di sopraffazione del ricco verso il povero, del committente verso l’artista. E c’è anche una grande storia di amore, c’è la storia di una dipendenza, e c’è Israele come terra promessa. Ieri, Adrien Brody ha confessato di aver sentito "immediata empatia e comprensione" per il suo personaggio grazie all’esperienza di sua madre, la fotografa Sylvia Plachy. "È una meravigliosa fotografa, ma anche una immigrata ungherese, fuggita nel 1956, l’anno della rivoluzione e dei carri armati russi a Budapest. È emigrata negli Stati Uniti, e proprio come László ha dovuto ricominciare da capo, ma ha perseguito il suo sogno di diventare artista".
"Ho capito, grazie a questo film, molto sulla sua tenacia, sulla sua vita e sul suo lavoro di artista", dice Brody. "Questo è un film di finzione che affonda nella realtà: per me è importante la realtà di questo personaggio". Il film è stato girato in Ungheria e in Italia, nelle zone delle cave di marmo di Carrara: ed è stato girato su pellicola 70mm, nel formato VistaVision caro ad Alfred Hithcock. "È stato un film incredibilmente difficile da fare", dice il regista Corbet. "Sono commosso, oggi, perché ci abbiamo lavorato per sette anni. Sono grato a ognuno di coloro che hanno passato tre ore e mezza con il film ieri, e ad ognuno che passerà tre ore e mezza in compagnia del film, da oggi in poi".