Milano, 23 settembre 2022 - 'Spatriati', il romanzo di Mario Desiati che si è aggiudicato l’ambito Premio Strega 2022, diventerà presto una serie TV. La storia, che arriverà in versione seriale non prima del prossimo anno è quella di Francesco e Claudia, due giovani che pur facendo scelte differenti e conducendo vite molto diverse, resteranno indissolubilmente legati.
In che modo un libro tanto complesso può essere trasportato sullo schermo restando fedele a se stesso? L’autore del romanzo e il produttore Livio Basoli di Dude Originals (che ha acquisito i diritti per 'Spatriati') ne discuteranno domenica 25 settembre a Milano, nel corso del Festival delle serie TV. Abbiamo intervistato Mario Desiati, per farci raccontare in anteprima qualcosa in più sulla sua opera e su ciò che si aspetta di vedere in TV.
Quando ha iniziato a scrivere 'Spatriati' aveva pensato a una possibile trasposizione sullo schermo o è stata una svolta inattesa?
"No, non ho mai pensato a questo. Ho un’idea molto antica, forse obsoleta, ma in cui credo tanto: scrivo pensando solo alla storia che sto provando a raccontare, senza immaginare cosa potrebbe diventare.
Perché la scelta di realizzare una serie e non un film per ‘Spatriati’? Come si è arrivati a capire che era questo format quello più adatto?
"A questa domanda risponderebbe con più semplicità il produttore. Io però mi fido di chi ha preso i diritti del romanzo e di chi poi svilupperà la storia ispirata a Claudia e Francesco. Credo comunque che, essendo un romanzo che abbraccia un lungo periodo di tempo che va dall’inizio degli anni Novanta ad oggi, si presta meglio a uno sviluppo più ampio come può essere quello in chiave seriale.
Il suo romanzo ‘Il Paese delle spose infelici’ è diventato invece un film. Rispetto all’esperienza del passato, questa volta sarà coinvolto nella sceneggiatura? E come cambia il lavoro da scrittore di un libro ad autore di serie TV?
"Sicuramente farò quello che feci all’epoca, rimanendo a disposizione degli autori e del regista per lo sguardo e le atmosfere, ma poi l’opera diventa la loro. Il film ‘Il paese delle spose infelici’ è un film di Pippo Mezzapesa e basta, è la sua opera, i personaggi sono ispirati a un romanzo, ma sono riscritti e diretti da lui. Ero molto contento del suo lavoro, non come autore del romanzo a cui si era ispirato, bensì da spettatore. Penso che succederà questo anche con chi svilupperà ‘Spatriati’.
Uno scrittore oggi, grazie al boom delle piattaforme di streaming, deve scrivere pensando già a una trasposizione in video?
"Non giudicherò mai negativamente chi lo fa. È un lavoro che alcuni fanno e lo fanno bene. Chi riesce in questo ha anche talento per stare su un racconto che ha quelle potenzialità. Da parte mia, guardo solo ai dettagli della storia che voglio raccontare, con la sottile utopia malata degli scrittori di raccontare personaggi vivi e vicende che esorcizzino i propri fantasmi oscuri".
Che tipo di serie TV le piacciono? E che tipo di serie TV vorrebbe che fosse ‘Spatriati’?
"La mia preferita è ‘Transparent’ e tocca dei temi a me molto cari, come la famiglia, la religione e ovviamente il percorso di una persona transgender come la protagonista. Ma mi piacciono le serie che hanno impianti narrativi solidi, dove non si gira attorno alle storie e i personaggi per arrivare a 8 puntate".
Il romanzo utilizza come sfondi principali Martina Franca, in Puglia, e Berlino, in Germania. La serie sarà fedele alle location e si girerà in questi luoghi?
"Sarà una scelta degli autori e della produzione, ma mi piacerebbe che le scene notturne berlinesi fossero girate in uno dei miei club. Sarebbe divertente".
Il romanzo tratta da vicino tematiche delicate, legate al mondo LGBTQ+, che sono diventate di recente argomenti centrali in diverse produzioni seriali. In cosa la serie ispirata a ‘Spatriati’ potrebbe essere diversa?
"I protagonisti sono fluidi in tutti i campi, a cominciare dalla patria, la casa, ma anche per ciò che riguarda lavoro, famiglia, società, religione, politica. Il concetto di spatriato è proprio questo rinominare una patria senza confini, in tutte le aree dell’esistenza. Non si tratta di una fluidità sempre cercata e voluta (vedi quella del lavoro), mentre altre volte è una strada di libertà che i protagonisti percorrono cercando di arrivare vicini alla verità di essere se stessi fino in fondo".
Lei si è mai sentito uno ‘spatriato’?
"Da quando sono nato. Credo che da quando ho coscienza, ho sempre percepito di non appartenere a nessuna ‘patria’, se non a quella degli esseri umani. E, come diceva Kafka, è già tanto difficile esserlo".