Coprotagonista di "Mare fuori 3", la serie cult ambientata a Napoli in un istituto penale per minorenni i cui 12 episodi sono già su RaiPlay con risultati straordinari in termini di ascolti mentre Rai 2 la sta trasmettendo ogni mercoledì in prima serata e Netflix ha acquisito le prime due stagioni, Nicolas Maupas, 24 anni, che impersona Filippo Ferrari - "O' chiattillo" come lo chiamano nella fiction -, confessa di aver trovato nel personaggio una similitudine con la sua persona: "Pur in un contesto del tutto avulso dal mio, abbiamo in comune il concetto di viaggio, di percorso, la scoperta di valori e di priorità e la riscoperta di sentimenti come l’amicizia. Paradossalmente Filippo in tre anni vede migliorare la sua vita: in quel luogo di dolore e restrizione riesce a circondarsi di amici, vivere storie. Dopo un primo anno tosto perché si scontra con un ambiente cui non appartiene per estraneità alle gerarchie criminali e alle regole non scritte che dominano i clan, anche lui acquisisce coscienza di sé, delle proprie azioni. Esattamente come me che mi affacciavo per la prima volta a un set e mi sentivo di non possedere armi per affrontarlo. Mi hanno salvato cast e registi".
O Chiattillo: cosa significa il soprannome di Filippo di Mare Fuori
Cos’altro le hanno insegnato quei mesi sul set?
"Chi si trova in una posizione di svantaggio come i minorenni rinchiusi dentro le mura di un carcere ha bisogno di un aiuto in più ma bisogna anche avere la consapevolezza che ognuno di noi ha in mano il timone della propria vita. Filippo ha commesso un grave errore prendendo con leggerezza la propria vita e quella dell’amico di cui ha causato la morte. La vita è questione di scelte, lo tengo sempre a mente come uomo e come attore".
Con che sguardo osserva i coetanei che sbagliano e si trovano coinvolti in fatti di cronaca?
"La tendenza a seguire la moda del male è diffusa come l’esaltazione delle cose pericolose, ma c’è un controbilanciamento nei tanti che fanno volontariato, s’impegnano, conducono battaglie per i diritti, per cui la reputo una generazione con potenzialità importanti ma anche purtroppo capace di fare errori gravi per aspettative estreme".
Finora la vita l’ha più sorpreso, blandito con il successo, deluso, fatto soffrire?
"Beh, la vita è costellata di tante cose. La possibilità di fare l’attore mi ha permesso di confrontarmi con insicurezze che sono ovviamente diverse da quelle che potevo avere se non avessi intrapreso questo cammino. Di qui anche delusioni e sofferenze di cui faccio tesoro, avendo però imparato a farmi scivolare molte più cose, assegnando priorità precise senza, tuttavia, preclusioni perché un’altra cosa che ho imparato è che tutto può succedere".
Qual è la sorpresa finora più bella?
"L’essere entrato in un progetto cinematografico in costume, ambientato nel 1940, che mi ha fatto conoscere un modo di lavorare diverso dalla fiction e che mi ha fatto intravvedere il futuro che vorrei: aspiro moltissimo a fare cinema anche se non rinnego le serie che finora mi hanno aiutato. ’Mare Fuori’ mi dà tante soddisfazioni ma altrettante me ne dà magari un ruolo più piccolo come quello del mio esordio al cinema che però può essere un passo verso la realizzazione futura".
Il circolo mediatico è un lusso o un’afflizione?
"Tengo molto alla mia privacy ma per fortuna siamo noi a decidere quanto esporci. Io scindo vita privata e professionale, ma sono riconoscente al pubblico per il successo che tributa a ’Mare Fuori’ per cui se mi scrivono o mi chiedono foto ne sono felice. In fondo raccontiamo storie per loro".
Da che famiglia viene? La vocazione a recitare è emersa precocemente?
"Mia mamma lavora in un giornale, mio padre fa il grafico per cui una vena artistica scorreva in casa. Ma solo io già da piccolo ero affascinato dai film, ne volevo guardare continuamente, quindi diciamo che è un’inclinazione innata che si associa a tutto ciò che è connesso all’arte e alla musica".
Avverte la responsabilità di essere un modello per i giovanissimi che la seguono?
"Definirmi idolo è troppo forte però essere un punto di riferimento implica una responsabilità e io sto molto attento all’effetto che possono avere le mie azioni su chi mi segue. Le storie offrono spesso anche a me, da spettatore, chiavi di lettura utili come sprone. Ed è un retropensiero che mi accompagna a maggior ragione quando sono io a recitare".
L. Bo.