Lunedì 17 Marzo 2025
GIOVANNI BOGANI
Cinema e Serie Tv

Luc Merenda: "Potevo essere Sandokan. Ora ammiro Eastwood"

L’attore premiato con il Nastro d’argento per il documentario sulla sua vita "Ho fatto film di ogni genere, ma per tutti sono il commissario dei poliziotteschi".

L’attore premiato con il Nastro d’argento per il documentario sulla sua vita "Ho fatto film di ogni genere, ma per tutti sono il commissario dei poliziotteschi".

L’attore premiato con il Nastro d’argento per il documentario sulla sua vita "Ho fatto film di ogni genere, ma per tutti sono il commissario dei poliziotteschi".

"Come mi sento di fronte a questo premio? Stupefatto, curioso, meravigliato. E preoccupato". Perché preoccupato? "Perché non sono abituato a tutto questo caos intorno. Sono arrivato vergine al matrimonio con i premi: sono sempre stato lontano dalle celebrazioni, dalla mondanità, dai salotti. E anche dai premi. E ora mi danno il Nastro d’argento, il premio più antico d’Italia". Luc Merenda ha ricevuto a Roma il Nastro d’argento come “Protagonista dell’anno“ di un film documentario. Il film che racconta la sua biografia artistica e la sua vita è Pretendo l’inferno di Eugenio Ercolani, nato da un soggetto di Steve Della Casa, al quale ha collaborato lo stesso Luc, ormai italiano – e romano – di adozione. Un percorso attraverso gli anni ’70 del cinema poliziottesco, il racconto di una vita vissuta al massimo, senza ipocrisia e senza omissioni.

Luc Merenda ha ottantun anni e il fisico leggero di un ballerino. Ha interpretato, negli anni ’70, tanti film nei quali era fascinoso commissario. Si è trovato a essere divo, suo malgrado. "Divo non lo sono mai stato: chi pensa di valere qualcosa di più perché si è trovato davanti a una cinepresa, ha sbagliato tutto. Chi pensa di essere speciale, è sempre un illuso".

Francese, con ascendenze nobili e antenati sparsi per tutta Europa, Luc Merenda ha fatto mille lavori, dal lavapiatti alla guardia del corpo, ha praticato arti marziali, ha praticato motociclismo e paracadutismo, e poi è approdato a Roma risalendo il Tevere in barcone. È diventato, all’inizio degli anni ’70, l’eroe di quel cinema col colpo sempre in canna. Sergio Martino lo dirige in La città gioca d’azzardo e in molti altri film, Fernando Di Leo lo trasforma in poliziotto corrotto. Quentin Tarantino citerà Luc Merenda fra i suoi attori di riferimento.

Luc, come racconterebbe la sua vita e la sua carriera? "Avrei voluto essere Cary Grant, fare le commedie brillanti americane: ma non è stato possibile, e sono stato Luc Merenda. Ma va bene così".

La sua vita è da tempo in Italia... "Ho passato l’infanzia in Marocco, l’adolescenza in Francia, i vent’anni negli Stati Uniti. I miei avi erano austriaci, greci, inglesi, francesi. Ma io a Parigi non mi sono mai sentito a casa. E invece, appena sono arrivato a Roma, mi sono detto: ecco, è qui che voglio vivere. Mi sono innamorato del cinema italiano, del cibo italiano, della musica, dell’amore per la vita che c’è in Italia. Mi sono innamorato di Roma, e sono anche felice sentimentalmente, qui. È l’Italia, ormai, la mia casa".

Quali film si terrebbe stretti, dei molti che ha interpretato? Se dovesse sceglierne tre, quali indicherebbe? "Penso a Milano trema, la polizia vuole giustizia, a Il poliziotto è marcio, a La polizia accusa, il servizio segreto uccide. Sono film che hanno caratterizzato un genere, e un’epoca".

Poi ha abbandonato il personaggio del commissario. "A un certo punto mi offrirono l’ennesimo ruolo del commissario, e risposi: ‘Ma se volevo entrare in polizia, facevo domanda’. Ho fatto anche film western, gialli, drammi, film erotici. Ma ho capito che per il pubblico rimarrò sempre il commissario. E in fondo, sono riconoscente a quei personaggi".

Tanti ruoli interpretati, e alcuni rifiutati. Er Monnezza, che avrebbe dato la celebrità a Tomas Milian, e Sandokan, che avrebbe dato la celebrità a Kabir Bedi. Perché? "Rifiutai Er Monnezza perché non ero adatto: fui io stesso a consigliare ai produttori Tomas Milian, che aveva i tratti giusti, e poi stava benissimo con quella parrucca. Forse invece ho sbagliato a non fare Sandokan: all’epoca la televisione non sembrava così interessante, e invece quello sceneggiato era molto bello".

Di che cosa è più orgoglioso? "Di essere rimasto sempre me stesso, di non essere mai cambiato per fare piacere a qualcuno. Sono un selvatico, un solitario, uno che non va agli aperitivi. Ho sempre detto quello che pensavo, e ho sempre fatto quello che credevo giusto".

E oggi, quale ruolo vorrebbe interpretare? "Mi accontenterei di una piccola parte. Ma che non sia quello del nonno o del bisnonno. Mi piacerebbe un film nel quale sviluppare un sentimento, non necessariamente l’amore. Mi è piaciuto tantissimo l’ultimo periodo di Clint Eastwood, da quando è sceso da cavallo, e ha iniziato a interpretare personaggi sensibili. Ecco, mi piacerebbe fare un po’ come lui".