Martedì 25 Marzo 2025
SILVIO DANESE
Cinema e Serie Tv

La versione di Nanni: "Il cinema è solitudine"

Moretti premiato al Bif&st di Bari si racconta per due ore: un bilancio in dieci capitoli. "Volevo fare apprendistato ma nessuno mi voleva"

Nanni Moretti, 71 anni, ieri. al Bif&st con il premio “Arte del cinema“ alla carriera

Nanni Moretti, 71 anni, ieri. al Bif&st con il premio “Arte del cinema“ alla carriera

Doveva essere un saluto e un breve incontro per il Premio Bif&st “Arte del cinema“ alla carriera nell’esaurito Teatro Petruzzelli di Bari, in occasione della retrospettiva completa dei suoi film da Io sono un autarchico a Il sol dell’avvenire. È diventato invece un bilancio di due ore al microscopio in forma di decalogo: "Mi sono preparato qualche appunto: Super 8, Regia, Sceneggiatura, Recitazione, Produzione, Autobiografia, la Critica (sarà il passaggio più breve), Pubblico, Musica, Nuovo Sacher. Dunque, non sarò breve".

Nanni Moretti, ex riluttante. Nella generosa onda di memoria c’è un archeologo davanti a una vetrina di reperti, avanti e indietro tra i suoi passi e quelli del Paese che ha raccontato e smascherato, in ormai cinque decenni di cinema. "Mi sono trovato subito solo: volevo fare l’apprendista con qualcuno, ma proprio non mi prendevano. Oggi girare è immediato, una videocamera leggera, anche un cellulare. Con la cinepresa Super 8 invece anche fare vedere il tuo film era complicato. Nel 1973, per dare un’idea, arrivai alle Giornate degli autori di Venezia con il mio proiettore e il mio amplificatore, e ti dovevi arrangiare. Alla fine dei cortometraggi bisognava aprire una discussione, e da lì è nata la celebre battuta: “No, il dibattito no!“ Io sapevo piuttosto bene cosa volevo: raccontare il mio ambiente, prendere in giro il mio ambiente e farlo in prima persona. Nei primi due film ho scritto e filmato senza andare incontro al pubblico. Il fatto è che volevo intensamente stare nell’industria del cinema, ero certo di questo, ma alle mie condizioni. Con Ecce bombo credevo di aver fatto un film doloroso per pochissimi. Quando è uscito ho scoperto che piaceva a tutti e che era un film comico".

La regia in fondo è associata alla recitazione: "Sono stato tanto influenzato dai fratelli Taviani, e per diversi film ho tenuto fede all’inquadratura fissa: il pubblico doveva sentire che si trattava di una rappresentazione. I miei attori dovevano muoversi come su un palcoscenico. Qui c’entra anche la pallanuoto. Ai tempi ero gracilino, così puntavo sulla palombella, il tiro da fermo per spiazzare il portiere. Il tiro da fermo è la macchina fissa. Poi con Caro diario e Aprile le cose sono cambiate, e sono diventato meno rigido. All’inizio usavo non attori, erano pedine del mio gioco, e non facevo provini. Mi imbarazzava. Ho imparato poi a lavorare con professionisti, a cui spesso bisogna togliere qualche incrostazione. Quando però trovi Silvio Orlando, quella è una manna. Il non professionista più costante nei miei film è stato mio padre, che era storico ed epigrafista, ed è stato lo psicologo di Io sono un autarchico, il produttore in Sogni d’oro fino al sindacalista di Palombella rossa. Poi è morto è non ha più potuto fare l’attore nei miei film".

Nel tempo la sceneggiatura è passata dal ruolo di Cenerentola a quello di Principessa, combinata con la libertà del Moretti produttore e poi esercente del cinema Nuovo Sacher: "Oggi sono felice di scrivere con altri, in realtà sempre donne. Mi piace l’esperienza umana. All’inizio facevo da solo e scrivevo poco. Poi è successa una cosa. Ho smesso di leggere articoli sui film prima di entrare in sala e sono andato a vedere La donna della porta accanto di Truffaut, nel 1981. L’emozione di quel finale ha cambiato il mio rapporto con la sceneggiatura, come si vede poi in Bianca e La messa è finita, salvo tornare a scrivere da solo Caro diario. Quando trentotto anni fa decisi di fondare una mia società di produzione era per essere libero: libero di cercare i soldi per i film dove volevo, libero di condividere la mia fortuna aiutando giovani esordienti, e anche libero di mettere insieme al momento una troupe leggera per girare per Roma in Vespa o riprendere l’ultima seduta di chemio del primo dei miei due tumori senza sapere che ne avrei fatto un film, come di andare alla sede del Pci del Testaccio a registrare un’assemblea e di ritrovarmi, andando poi a Bologna e Napoli, col documento sulla fine del Partito Comunista Italiano".

L’autobiografia? "No, be’, questa la saltiamo, è meglio. E passiamo subito alla critica.Vi leggo che cosa ho scritto: chiunque può pensare e dire del nostro lavoro qualsiasi cosa. Fine del capitolo". A questo magnifico settantenne il direttore del Bifest Oscar Iarussi ha poi consegnato il premio “Arte del cinema“ alla carriera "per la luminosa coerenza di sguardo sulla relazione individuo/società mentre al suo spettatore chiedeva di non dimenticare sia le contraddizioni del “far cinema“ sia la natura della sua indipendenza e differenza".