"Troveremo un luogo nuovo in cui tutte le paure dei nostri antenati non ci opprimeranno. Dove potremo amarci liberamente e formare una famiglia". José Arcadio Buendía (Marco González) stringe la mano della sua amata sposa Úrsula Iguarán (Susana Morales), portata all’altare contro la volontà dei genitori perché cugini, in una scena del primo episodio di Cent’anni di solitudine. La serie Netflix è la prima trasposizione seriale del capolavoro scritto dal premio Nobel Gabriel García Márquez nel 1967. E quella scena è il preludio che dà il via all’incredibile epopea umana e storica che attraversa il racconto.
Il lungo viaggio intrapreso dai due alla ricerca di una nuova casa non sarà solitario. Al fianco di José e Úrsula un gruppo di uomini e donne che hanno scelto di lasciare il loro villaggio alle spalle per fondare una nuova città. Sarà José ha trovare il punto perfetto, sulle rive di un fiume dal letto di pietre preistoriche, che battezzerà Macondo. Un luogo mitico nel quale si susseguiranno sette generazioni della stirpe dei Buendía. Una famiglia tormentata da follia, amori impossibili, una guerra e il terrore di una maledizione che li condanna a quei cent’anni di solitudine a cui si riferisce titolo.
Capolavoro della letteratura ispano-americana, Cent’anni di solitudine è stato capace di valicare i confini della Colombia e raggiungere il successo mondiale vendendo oltre cinquanta milioni di copie tradotte in più di quaranta lingue. Misurarsi con una trasposizione del genere non è un’impresa facile, ma la serie Netflix è riuscita a catturare lo spirito del romanzo, il suo realismo magico, la prosa di Márquez e le metafore e allusioni che la contraddistinguono.
Annunciata per la prima volta nel 2019, la serie è stata adattata da un team di sceneggiatori che comprende anche i figli dello scrittore, Rodrigo e Gonzalo García Barcha. Una produzione epica come la storia che racconta – già rinnovata per una seconda e ultima stagione – e tra le più impegnative e ambizione mai realizzate in America Latina.
Interamente girata in Colombia, Cent’anni di solitudine, vede dietro la macchina da presa la coppia di registi composta da Laura Mora (The Kings of the World) e Alex García López (The Witcher). Episodi di un’ora, densissimi, caratterizzati da una bellezza visiva che riempie gli occhi. "Portare quest’opera sullo schermo, insieme ai migliori talenti colombiani, recitata in spagnolo e girata in Colombia – ha dichiarato Mora – e lasciare l’eredità di questa esperienza nell’industria locale è stato molto gratificante. Come regista colombiana sono orgogliosa di aprire una finestra sul nostro Paese a un pubblico globale". Le fa eco López: "Dirigere questo progetto è stata sia una sfida che un’avventura. Quando mi sono immerso nell’adattamento, la mia intenzione era quella di creare qualcosa di autentico, con il calibro di una produzione internazionale, perché la storia lo merita".
Il risultato di sei anni di lavoro è un’opera sorprendente che tiene fede al romanzo senza tradirne la poetica. Il merito è anche della fotografia di Paulo Pérez e María Sarasvati, della scenografia di Bárbara Enríquez – sono state ricostruite tre città/set - e dei costumi di Catherine Rodríguez che catturano i mutamenti e l’evoluzione di Macando nel corso degli anni. Dalla terra rossa del villaggio natale di José e Úrsula alla piccola casa con il letto di paglia della città ai suoi albori fino alla villa vittoriana che diventerà. Una casa capace di “sentire“ le emozioni di Úrsula e di Macondo. E intorno a loro un mondo che cambia.