C’è il rischio di restare prigioniero più che del personaggio – visto che stiamo parlando di attori – dell’archetipo. Gian Maria Volonté ha scontato in vita – e molto meno fortunatamente post mortem – il fatto di essere considerato solo un attore militante. Il protagonista di un cinema politico, anzi del cinema politico (anni ’70) che ha regalato, però, Oscar e capolavori alla storia cinematografica del nostro Paese.
Se ne è andato trent’anni fa (il 6 dicembre 1994), a Florina (in Grecia), quando ormai non lavorava quasi più in Italia. Era andato da Theo Angelopoulos che aveva in testa di fare un film sulla guerra nei Balcani. Lo sguardo di Ulisse è l’ultimo film (incompiuto, perché morì in scena) di Volonté e a lui dedicato. "Io accetto un film o non lo accetto in funzione della mia concezione del cinema". Gli offrirono 60 milioni di lire, nel 1968, per fare Metti una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi. Mai un compenso del genere era stato pensato per un attore in Italia. Gli anticiparono, in quell’estate calda, due milioni e mezzo, perché le riprese sarebbero dovute iniziare a breve. Restituì fino all’ultimo centesimo e rinunciò al film. C’è chi pensò che fosse preda di una crisi mistico-politica: il suo cuore (non solo come organo vitale) ha sempre battuto a sinistra. Arrivarono le speculazioni: c’è chi perfino disse che era rimasto folgorato dal sistema comunista bulgaro. E Volonté fu costretto a precisare: "Non sono in crisi e non sono diventato buddista – disse in un’intervista alla rivista Noi Donne – Mi sono accorto che seguendo la strada che mi si andava aprendo, sarei diventato un oggetto, uno strumento nelle mani di persone che perseguono interessi che non sono i miei". Stava per finire addirittura in tribunale, se non ci fosse stata Marina Cicogna, la contessa-produttrice (c’era la sua firma anche nel film di Patroni Griffi) che gli impose di fare due film con Elio Petri. Senza saperlo – a proposito di destino – quella scelta (quasi) obbligata avrebbe segnato la sua storia e quella del cinema italiano.
Volonté e Petri avevano già lavorato assieme. Era accaduto qualche anno prima, 1967, quando Petri aveva deciso di portare sul grande schermo il romanzo di Leonardo Sciascia A ciascuno il suo. Ma quello che stava per realizzarsi con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto era qualcosa di per sé impensabile, soprattutto se si pensa a quell’Italia lì dilaniata dagli scontri di piazza e dalla cosiddetta strategia della tensione. A un anno da piazza Fontana il film viene proiettato per la prima volta a Milano il 13 marzo 1970. C’è un film che parla di polizia, senza fare sconti alla polizia e con una frase di Kafka nei titoli di coda che inchioda lo spettatore a quello che ha appena visto: "Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alle legge e sfugge al giudizio umano".
Ugo Pirro, lo sceneggiatore che assieme a Petri e a Volonté formerà un solido trio anche in altri film, ricordò quei giorni: "L’affluenza del pubblico nelle sale era enorme e in alcuni casi fu necessario interrompere la circolazione dei veicoli data la lunghezza delle file alle biglietterie. Ci avevano detto che saremmo finiti in carcere: era una tale bomba. Ma il film non fu bloccato dalla censura perché tutti si resero conto che la cosa avrebbe provocato uno scandalo enorme".
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto vince l’Oscar (1971) come miglior film straniero. E un anno dopo, 1972, ancora con Petri a Volonté riesce in qualcosa che non è più successo nella storia cinematografica italiana. A Cannes vincono la Palma d’Oro due film italiani ex aequo, entrambi interpretati da lui: La classe operaia va in Paradiso per la regia di Petri e Il caso Mattei per la regia di Francesco Rosi.
Si dirà ora che questa concatenazione d’eventi e di scelte non fa che confermare l’archetipo di Volonté come attore impegnato e politico. Dimenticando invece, come eloquio, postura e oralità (e quindi la lingua che era in grado di adattare alle esigenze di scena del personaggio cui lui stesso aggiungeva caratteri e ne sottraeva) ne fanno uno dei pochi attori che anche senza passare alla macchina da presa è riuscito a definire un suo genere (non squisitamente politico) da far dire e a ragione veduta che esiste davvero un cinema di Gian Maria Volonté. E che dopo trent’anni, finalmente, non è più roba solo da cineforum.