Roma, 4 gennaio 2025 – L’amore con Vanessa Redgrave, i consigli ricevuti da Laurence Olivier, le giornate passate a pescare insieme a Burt Lancaster a Marina del Rey. E ancora, i mille viaggi, per andare a interpretare anche un piccolo ruolo in un film bulgaro, o serbo. E mantenere negli occhi quello sguardo sereno, limpidamente eroico di uno che guarda sempre lontano, senza paura. Franco Nero si racconta a margine del festival Capri, Hollywood, di cui è uno dei soci fondatori, un patriarca. Ha contribuito a farlo nascere, nel 1995, insieme a Gillo Pontecorvo e a Lina Wertmuller. Sono passati quasi trent’anni, stagioni del cinema e della sua vita. Per esempio, dalla sua vita è passato Quentin Tarantino.
Com’è stato l’incontro con Quentin?
"La scintilla dell’incontro fu Penelope Cruz. Stavo lavorando con Penelope a un film spagnolo. Un weekend, lei partecipa al festival di San Sebastian, nei paesi baschi. Quando torna mi dice: “Franco! Non puoi immaginare. Ho incontrato Quentin Tarantino, ha saputo che lavoro con te e vuole conoscerti. Dice che ha visto tutti i tuoi film“".
Così vi siete incontrati. Quentin era davvero un gran conoscitore dei suoi film?
"Io non ci credevo, naturalmente, e ho voluto metterlo alla prova: Quentin, gli ho detto, c’è un film che non puoi conoscere… E invece ho scoperto che aveva visto anche I diafanoidi vengono da Marte, un film girato da Antonio Margheriti. Mi disse: “Yeeeaaaaaah! Anthony Dawson!“ Era uno degli pseudonimi con cui Antonio Margheriti filmava i suoi film. Fu un incontro bello, ma niente di più, pensavo io. Invece, pochi mesi dopo, mi arriva il copione di Django Unchained. E c’è una scena per me".
La scena è quella in cui il Django di Tarantino, Jamie Foxx, si incontra al bar con il Django “originale“, quello del film di Sergio Corbucci del 1966. Franco Nero, appunto. Com’era il set con Tarantino?
"Abbiamo girato per quella che doveva essere una scena breve, una giornata di lavoro. Finita la scena, in cui recito con Jamie Foxx, che nel film è Django – e che incontra il Django ‘originale’, cioè il sottoscritto – Quentin è eccitatissimo: “Yeah yeah yeah, benissimo! Perfetta!“, grida. E poi aggiunge: “Adesso facciamone un’altra! Perché noi…“ e tutta la troupe grida in coro: “Perché noi amiamo il cinema!“ Evidentemente era la sua frase-feticcio, ad ogni ciak. Siamo andati avanti giorni e giorni. Anche quando la scena era già girata, Quentin mi voleva con sé, sul set. Sono rimasto a Los Angeles una settimana".
Lei è uno degli attori italiani che sono stati scoperti, quasi subito, da Hollywood. Com’è andata?
"Era il 1966, e fu proprio un regista americano, uno dei più grandi, a offrirmi la più grande occasione. A quel tempo, oltre all’attore, facevo l’aiuto fotografo in una bottega in via Margutta, a Roma. Un giorno nello studio arriva un ‘cacciatore di facce’: un assistente al casting, per un film di John Huston, La Bibbia. Volle fotografare anche me. E poco dopo, John Huston mi convocava al Grand Hotel di Roma per un provino".
Erano anni in cui potevano davvero succedere dei miracoli, Roma era vicina a Hollywood.
"Proprio così. Fu sempre John Huston a raccomandarmi al suo amico Joshua Logan per il ruolo di Lancillotto in Camelot. Per ottenere quel ruolo, io che non sapevo bene l’inglese imparai dei versi di Shakespeare a memoria. Furono la mia salvezza, mi fecero avere la parte. E quel film cambiò la mia vita".
Sul set di quel film conobbe Vanessa Redgrave. Fu amore a prima vista?
"Sì. Un amore che in qualche modo dura ancora. Stracciai il contratto che avevo con Jack Warner per fare altri cinque film, e tornai in Europa con lei".
Un amore che è durato, fra alti e bassi, abbandoni e riconciliazioni, tutta la vita.
"Di avere stracciato quel contratto con Warner non mi sono mai pentito. Vanessa era bella, fiera, passionale, idealista: la chiamavo ‘la Giovanna d’Arco dei nostri tempi’, sempre impegnata in qualche causa sociale, per difendere i più deboli. Nel 2006, quarant’anni dopo esserci conosciuti, dopo litigi, burrasche, dopo avere vissuto altre vite, ciascuno la sua, ci siamo sposati".
Come mai, dopo tanto tempo?
"Lo volevano i figli: Carlo, nostro figlio, così come Joely e Natasha, i figli di Vanessa con Tony Richardson, che ho amato come fossero figli miei".
E di Natasha, scomparsa giovanissima, per una banale caduta sugli sci, nel 2009, Franco conserva una foto che compare come suo profilo Whatsapp. Mentre parliamo, squilla il telefonino di Franco. E appare un nome: Vanessa. Avete girato recentemente un film insieme?
"Sì, con Vanessa, con nostro figlio Carlo come regista, con i nipotini nel cast. Si chiama The Estate. Abbiamo girato in Inghilterra, è un film in cui mi sono trovato a casa, letteralmente. Poi ripartirò, ho una proposta dagli Stati Uniti, altre dall’Est europeo".
Vive con la valigia in mano…
"Mi piace viaggiare, forse perché in me c’è un po’ di sangue gitano, il sangue della mia nonna andalusa. Amo i luoghi veri: come quando vivevo a Los Angeles, un posto ‘fasullo’, che però a pochi chilometri aveva Marina del Rey, dove mi rifugiavo con una canna da pesca e con il mio amico Burt Lancaster".