Lunedì 25 Novembre 2024
MASSIMO CUTO'
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Ciak si gira, ma niente sesso: c’è il Covid

Da Hollywood all’Italia riprendono le riprese con protocolli sanitari rigidissimi. Ma alcune major tentennano: l’incognita delle assicurazioni

Ciak si gira, ma niente sesso: c’è il Covid

Ciak si gira, ma niente sesso: c’è il Covid

Niente baci, niente abbracci, niente sesso tra le lenzuola. Niente lotta corpo a corpo. E niente scene di massa: quelle verranno ricostruite al computer, con effetti speciali ad altissima definizione. Il cinema ci prova. Ciak, si gira al tempo del Coronavirus. Svezia e Danimarca, dove il lockdown è stato soft, sono state le prime a ripartire. E il 12 giugno è toccato a Hollywood riaprire i primi set, anche se al rallentatore. E con una serie di restrizioni drastiche – un protocollo di 22 pagine – che anche l’Italia sta cercando faticosamente di codificare. Non è semplice. Ma rimettere in piedi l’industria cinematografica (e anche quella delle fiction televisive) è essenziale per un settore che riguarda 200mila occupati fra lavoro diretto e indotto. Senza contare le ripercussioni sul territorio, nell’Italia che negli ultimi due-tre anni è diventata un set a cielo aperto per produzioni nazionali e internazionali.

"La ripartenza ha grande importanza per il turismo – spiega Francesco Cima, presidente Anica – e noi non possiamo perdere terreno. Abbiamo bisogno di una mano, le altre nazioni si stanno già muovendo. La Grecia ha aumentato il tax credit per chi va a girare lì: in questa fase chi parte per primo fa bingo e attrae capitali". Un esempio? Mission Impossible 7, la superproduzione di Tom Cruise che a settembre dovrebbe sbarcare a Venezia. Condizionale d’obbligo, dopo che a febbraio la scenografia è stata smontata a metà riprese per l’intensificarsi dell’epidemia.

Il divo vuole tornare in laguna ma le incognite sono tante. Cruise però non bada a spese. Il suo film prevede una serie robusta di ciak anche in Inghilterra e l’attore sta facendo costruire una cittadella Covid-free in una base Raf abbandonata nell’Oxfordshire: tutta la troupe alloggerà lì assistita da medici, infermieri e termoscanner. "Sarà come un campeggio di lusso – spiega lui – in cui gli attori coabiteranno con il resto della squadra".

Il protocollo sanitario prevede distanziamento, tamponi quotidiani, esami sierologici e perfino il divieto di copioni cartacei. Stop anche al rito collettivo del cestino distribuito in promiscuità all’intervallo pranzo: solo porzioni monodose, da consumare in stretta solitudine. Tutto maledettamente complicato. Tanto che alcune stelle di prima grandezza come Charlize Theron sono tentate di prendersi un anno sabbatico. I soldi, peraltro, sono la questione di fondo. Portare a termine un film costerà il 20 per cento in più, in base alle stime di Hollywood. E gli incassi non saranno più da record, viste le prescrizioni rigide per gli spettatori nei cinema. Per questo le grandi major traccheggiano.

La Warner Bros deve finire il suo King Richard, il film in cui Will Smith interpreta il padre di Venus e Serena Williams. La Disney ha in ballo i nuovi Avatar e Jurassic Park. Un rebus anche le riprese di Elvis interrotte in Australia: è lì che Tom Hanks ha contratto il virus, da cui è guarito assieme alla moglie. E dalle nostre parti? Tra i primi a tornare dietro la macchina da presa dovrebbe essere il cast di Qui rido io, il film di Mario Martone ispirato alla vita di Vittorio Scarpetta, interpretato da Toni Servillo. Ma c’è un problema cruciale ancora da sciogliere: il nodo assicurativo.

Chi paga se qualcuno si ammala durante la lavorazione del film? Il pericolo non è coperto dalle polizze abituali e così ogni produzione potrebbe trovarsi a gestire situazioni impreviste quanto onerose. In Francia il governo ha stanziato un fondo di 50 milioni per compensare l’eventuale stop alle riprese. Netflix copre il 70 per cento del rischio. E altrettanto ha deciso la tv pubblica tedesca. Una soluzione che Raicinema non può permettersi, basandosi sul solo canone. L’happy end è ancora lontano.