Chiara Mastroianni, brava interprete, figlia di Marcello e di Catherine Deneuve, anche se l’avesse voluto, non avrebbe mai potuto nascondersi nell’anonimato. La sua figura è una sintesi dei due genitori. A dire il vero col passare degli anni la somiglianza paterna ha preso il sopravvento su quella materna. Marcello mio è un’invenzione di Christophe Honoré che l’ha diretta altre volte. In un indovinato incipit Chiara, che interpreta se stessa, viene sollecitata dalla regista del film che sta girando ad "essere più Mastroianni e meno Deneuve". È l’inizio di una mutazione: sentendosi il fantasma del padre Chiara indossa un abito maschile, occhiali neri e il cappello di Marcello in 8 e ½; si ostina si ostina a parlare italiano e porta nell’ambiente del cinema francese, a cominciare dalla madre, un prevedibile scompiglio. Per quanto possa sembrare impossibile il gioco va avanti con episodi picareschi (Deneuve rievoca la gelosia per Faye Dunaway) e divertenti equivoci (straordinario Fabrice Luchini) ma al tempo stesso il film esplora i territori scomodi di ogni trasformazione. Coerente con i temi della fluidità di genere e dei capricci del desiderio cari a Honoré, Marcello mio mette in mostra con eleganza lo sguardo autoironico di un’attrice la cui fama ha ingiustamente patito una scomoda eredità.
Sean Baker, già autore di qualche film meritevole (come Red Rocket in Concorso nel 2021), confeziona una commedia che prende di mira i miliardari russi di New York. In Anora il figlio vent’enne di un super-magnate sposa una ballerina di erotic-dance. Lo fa per scherzo ma lei ci crede e s’oppone all’annullamento messo in piedi dalla famiglia. Se fosse stata possibile una revisione di Billy Wilder o anche solo di Bogdanovich i toni si sarebbero sollevati. Al momento strappa solo qualche risata. Troppo poco anche per soddisfare il lato pop del Concorso.