L'inquinamento dei mari si manifesta a volte in modo eclatante, come nel caso delle isole di plastica che galleggiano nell'Oceano Pacifico. Tuttavia, secondo diversi studi il 99% della spazzatura versata in acqua sparisce dai radar: microplastiche e nanoplastiche sono infatti molto difficili da rilevare, finendo il più delle volte nella catena alimentare, con esiti imprevedibili e preoccupanti. Per questo motivo, un team di scienziati dell'Università di Warwick (Regno Unito) sta mettendo a punto una tecnica di colorazione che sfrutta la fluorescenza per rintracciare e quantificare anche i detriti plastici di dimensioni infinitesimali.
LA SPAZZATURA CHE C'È, MA NON SI VEDE
L'equipe, coordinata dal biologo marino Gabriel Erni-Cassola, si è concentrata sullo sviluppo di un metodo che consenta di individuare le particelle plastiche di grandezza micrometrica (un micrometro = un millesimo di millimetro). A causa delle loro taglia ridotta, questi rifiuti sono difficilmente distinguibili dal resto del materiale biologico presente negli ecosistemi marini, rendendo quasi impossibile quantificare in maniera precisa il livello di inquinamento degli oceani.
LA PLASTICA SI ILLUMINA
Per riconoscere i frammenti plastici più microscopici, i ricercatori hanno studiato una sostanza che diventa fluorescente quando entra in contatto con determinati polimeri plastici. "Usando questa tecnica, può essere visualizzata e analizzata rapidamente un'enorme mole di campioni", ha spiegato Erni-Cassola, "consentendo di raccogliere molti dati sulla quantità di microplastica presente nell'acqua di mare o altrove".
RISULTATI INCORAGGIANTI
Erni-Cassola e colleghi hanno condotto dei test prelevando campioni di sabbia e acqua nei dintorni di Plymouth, nel sud-ovest dell'Inghilterra. La ricerca delle microplastiche è stata condotta utilizzando sia il colorante di loro invenzione, sia i metodi tradizionali, così da avere un metro di paragone. In tutta risposta, la fluorescenza ha permesso di individuare in tempi brevi particelle di dimensioni inferiori a un millimetro, con una precisione nettamente superiore alle altre tecniche.
CHI È IL COLPEVOLE?
L'analisi ha inoltre permesso di scoprire che il principale responsabile dell'accumulo di microplastiche è il polipropilene, un polimero termoplastico che si trova un po' ovunque, dai tappi delle bottigliette ai cruscotti delle auto, passando per le banconote, le confezioni per il packaging degli alimenti e i tubi per acqua e gas.
A CACCIA DEI DETRITI PIÙ PICCOLI
I risultati preliminari dovranno essere avvalorati da ulteriori indagini sul campo, ma la tecnica dell'Università di Warwick sembra avere le carte in regola per aiutare gli scienziati a monitorare con più attenzione il destino dei rifiuti plastici normalmente "invisibili" e ideare così le appropriate contromisure. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Environmental Science & Technology.
MagazineC'è una nuova tecnica per individuare le microplastiche in mare