Giovedì 23 Gennaio 2025
SILVIO DANESE
Magazine

Carlo Verdone: "Io, la Rossellini e i miei film sperimentali"

L’esordio da regista: "Ho girato tre pellicole con la cinepresa acquistata da Isabella che aveva bisogno di soldi. La Rai li ha persi"

Carlo Verdone al Torino Film Festival (Ansa)

Torino, 27 novembre 2019 - Nel corpo comico, e un po’ malinconico, di Carlo Verdone batte un cuore cinefilo, colto e passionale. E questo lo sappiamo. Meno noto che questo cuore viene anche da esperienze addirittura di cinema sperimentale, quel genere di montaggi poetici, allusivi o di contrasti simbolici e senza parole, dell’underground anni ‘70, musiche quantomeno non-melodiche, meglio se classica contemporanea dodecafonica e rumoristica. Un altro mondo. Ne parla presentando al pubblico del Torino Film Festival, in sale strapiene, le sue Cinque emozioni di cinema: Ordet (1955) di Carl Theodor Dreyer, Buon compleanno Mr. Grape (1993) di Lasse Hallstrom, Divorzio all’italiana (1961) di Pietro Germi, Oltre il giardino di Hal Ashby (1979) e Viale del tramonto di Billy Wilder (1950).

Film sperimentali? "Li ho fatti nei primi anni ‘70 influenzato dalle rassegne che seguivo nei cineclub dove, con una tessera che mi regalò mio padre, vedevo i film d’avanguardia di Grifi, Wahrol, Schifano e Yoko Hono. Mi sono formato in quei cineclub scoprendo Pabst e Welles, Lang e Dreyer. A quel tempo quelle sale erano guidate da grandi educatori di cultura cinematografica. Erano tre mediometraggi con musica elettronica e sinfonica: Poesia solare , Allegoria di primavera ed Elegia notturna".

Come andò? "Isabella Rossellini doveva trovare dei soldi. Suo padre era stufo di pagarle bollette telefoniche stratosferiche. Così, per una cifra considerevole, acquistai la sua cinepresa Bolex Paillard e girai quei primi film. Li vide anche Anthony Quinn, mio zio era il suo architetto per la villa di Los Angeles e quella di Velletri, e lui fu colpito. Allora mio padre li girò a Rossellini che consigliò l’iscrizione al Centro Sperimentale di Cinematografia".

Dove sono i film? "Perduti. Li diedi alla Rai per un mio ritratto e non li hanno più trovati. Elegia notturna fu addirittura premiato al festival di Tokio. Sono sicuro che quando sarò morto li trovano. Riscoperto un Verdone sconosciuto d’avanguardia...".

Come ha scelto le sue ‘emozioni di cinema’? "Per istinto, non da critico, perché non lo sono, sono figlio di un critico e storico del cinema. Il film di Hallstrom l’ho scelto per quei due attori incredibili, i giovanissimi Depp e Di Caprio, e forse non si sa che Mr Grape , il titolo italiano, è mio, quando Cecchi Gori mi chiese di aiutare la gestione del cinema Roma. Di Sellers volevo far vedere qualcosa di più malinconico, com e Oltre il giardino, prima di morire. Petri per me è il maestro della commedia e Divorzio all’italiana un film perfetto. Quando a quei cineclub ho visto i film di Dreyer mi sono detto: questa è espressione sublime e Ordet è anche per i miei studi di storia delle religioni. Credevo di essere destinato all’Istituto di storia! Però, fatemi dire anche un’altra grande emozione".

Quale? "Poco fa sono stato fotografato davanti a una vecchia telecamera. Io sono nato in tv qui alla Rai di Torino, con Enzo Trapani e una telecamera come quella. Pieno di dubbi, facevo i miei primissimi personaggi, come la cartomante, ma a chi piacevano? Invece Trapani dopo qualche settimana mi disse: ’sai che funzioni, scrivi, scrivi’. Poi, quando sono andato a salutare il capostruttura Gambarotta, dice: ’Verdone, ma lei è consapevole di quello che sa fare?’. E io non lo ero. Ganbarotta allora mi chiede che cosa ho intenzione di fare con i soldi guadagnati. Rispondo, non so, compro un’auto, una 127. E lui: ’guardi Verdone, lasci stare la 127, lei tra poco qui alla Rai ci viene con la Mercedes e l’autista’. Sono poi venuto tante volte a Torino, ma immaginate la mia emozione, poco fa, quando ho imboccato proprio questa via con l’autista".