Roma, 3 marzo 2025 – “Grazie amore mio”, scrive Carlo Verdone su Instagram, “per essere stata la mia compagna in due film fondamentali per la mia e la tua carriera. Grazie per avermi dato la tua leggerezza, il tuo sorriso e la tua preziosa amicizia. E grazie per essere stata un grande, coraggioso esempio per tutti in questo anno così duro e spietato. Ti ho ammirato per la tua forza, la saggezza, il coraggio. Eri sempre sorridente pur nel verdetto. Non dimenticherò i tuoi ultimi messaggi pieni di dolcezza e vero affetto. Dio ti benedica e ti accolga nel tuo grande abbraccio”.
Raggiungiamo Verdone al telefono. È abbattuto: “Mi sento molto più solo”. Eleonora Giorgi era stata la sua luminosa, spiritosa, vitale partner in Borotalco, il film del 1982 che divenne un cult. Minigonna, calze colorate, riccioli e gomma da masticare. Eleonora vinse il David di Donatello e il Nastro d’argento. Poi, con Carlo ha girato anche Compagni di scuola (1988).
Vi eravate sentiti anche in questi ultimi giorni…

“Sì, appena 9 giorni fa. Mi mandava tanti abbracci, poche parole, tante emoticon, avatar con i riccioli biondi. Schegge di un’amicizia e un affetto durati anni”.
Insieme costruiste un personaggio memorabile, quello di Nadia Vandelli, uno dei più riusciti del cinema italiano.
“Si creò una congiunzione astrale felice. Era piena di vita, entusiasmo, energia. Creammo per lei con Enrico Oldoini un ruolo che le somigliasse. Era un film importante, il primo in cui affrontavo un personaggio unico. Lei contribuì in maniera determinante alla riuscita: vincemmo 5 David ed è stata la svolta della mia carriera”.
Quando vi conosceste?
“In realtà molto presto, ai tempi del liceo: lei, quindicenne, era fidanzata con il mio migliore amico, Francesco Anfuso. Un ragazzo bellissimo, che morì a 16 anni in un incidente”.
Come nacque la vostra collaborazione in Borotalco?
“Era rimasta colpita da Un sacco bello e Bianco, rosso e Verdone. Voleva lavorare con me: all’epoca era già un’attrice di successo. Ci incontrammo nell’ufficio di Angelo Rizzoli, che mi disse: ‘Riesci a scrivere una storia per voi due?’. Dopo due settimane gli portai una prima idea, alcuni mesi dopo c’era la sceneggiatura”.
Che cosa rappresentava quel film, in quel momento?
“La voglia di leggerezza, commedia, sentimento che avevamo tutti, dopo il buio degli Anni di piombo. Fu un film liberatorio che arrivò anche negli Usa: grazie a lei lo videro anche Warren Beatty e Jack Nicholson. Si innamorarono del film: se fossi stato meno timoroso, ne avremmo fatto un remake americano. Non ebbi coraggio, mi sentivo inadeguato col mio scarso inglese. Peccato”.
Aveva pensato a lei, a un ruolo in Vita da Carlo 4?
“Sì. Era un suo desiderio, pensai a una scena breve, una giornata sola, per non affaticarla. Ma il set era troppo affollato, non aveva difese immunitarie, i medici non glielo permisero. L’altro giorno, chiudendo la stagione, le ho dedicato una scena. ‘Se mi viene bene’, ho pensato, ‘è merito suo’. Gliel’ho detto: era molto felice”.
Giorgi aveva fiducia nel dopo.
“Emanava una filosofia verso la vita e verso la non vita molto forte. L’ho ammirata anche in questo”.
Quando vi siete visti l’ultima volta?
“In treno. Tossiva molto, non sapevo che fosse malata. Parlammo un po’, poi si è messa a guardare fuori dal finestrino. Era una tosse feroce, violenta. Ci capimmo con i sorrisi”.