Martedì 10 Settembre 2024
STEFANO MARCHETTI
Magazine

Carducci e la fata bianca, una poesia di amicizia

Ricompaiono le lettere tra il poeta e la contessa Pasolini: 256 documenti scritti tra il 1889 e il 1907, fra cui 181 riconducibili a Giosuè

Carducci e la fata bianca, una poesia di amicizia

Villa Silvia, Lizzano di Cesena, 21 settembre 1904: seduti da sinistra la contessa Pasolini, Carducci, i musicisti Alessandro Bonci e Raffaele Frontali; in piedi la signorina Grandi, l’avvocato Trovanelli, il conte Giuseppe Pasolini e la signorina Lea Morini (Cesena, archivio fotografico Casa Carducci)

Alla nobildonna Silvia Baroni Semitecolo, in Pasolini Zanelli, "signora contessa Silvia molto amata", Giosuè Carducci scrisse più di 180 lettere negli anni a cavallo fra due secoli: quasi una al mese per l’ "amica gentile", appassionata di musica e di belle lettere, quella che per lui era la "fata bianca, sovrana e partecipe della multiforme armonia". Si scambiarono decine di pagine, si raccontarono momenti di vita, ricordi, felicità e dolori. Carducci le scrisse fino agli ultimi giorni di vita, nel 1907: quando non riuscì a più a maneggiare la penna, dettò le sue parole al genero e segretario Giulio Gnaccarini e ai collaboratori, ma non voleva far mancare un pensiero per la signora, perché "senza di Lei non vi è luogo bello, ed Ella ha il potere, con la parola e co’l sorriso, di far più bello l’aspetto delle cose".

Per molti decenni il carteggio fra il poeta e la contessa, intessuto di cortesia e di delicatezza, è rimasto chiuso nel mistero e nella riservatezza di una casa di Rimini. Nelle scorse settimane è riemerso, intatto ed emozionante: la Regione Emilia Romagna e il Comune di Bologna (con un investimento di 45mila euro) lo ha acquisito per poi affidarlo alle collezioni bolognesi di Casa Carducci, scrigno di storia e di memoria, "come patrimonio culturale di grande ricchezza", sottolinea l’assessore regionale alla cultura Mauro Felicori. "Al più presto si avvierà il lavoro di catalogazione e digitalizzazione delle lettere, per metterle a disposizione di tutti gli studiosi", sottolinea Matteo Rossini, responsabile di Casa Carducci che già custodisce più di 35mila lettere, cartoline e telegrammi inviati al poeta da circa novemila corrispondenti. "Dell’epistolario fra Carducci e la contessa avevamo già gli originali delle lettere che lei aveva inviato a lui. Mancavano quelle inviate dal poeta", rivela Rossini. L’acquisizione ha riguardato 256 documenti scritti tra il 1889 e il 1907, fra cui 181 riconducibili a Carducci e 75 minute di lettere che la nobildonna gli aveva spedito in risposta.

Silvia Baroni Semitecolo era di origine veneta, e nel 1875 aveva sposato il conte Giuseppe Pasolini - Zanelli, romagnolo di Faenza. "Era stata educata alla cultura letteraria, parlava quattro lingue, componeva musica: la madre teneva un salotto letterario, e lei era interessata a mettere in musica anche le poesie di Carducci", spiega Rossini. Fu così che arrivò a conoscere il poeta che per undici estati, dal 1897, insieme alla moglie fu anche ospite dell’elegante villa settecentesca della contessa a Lizzano, vicino a Cesena, quella che oggi ospita il bellissimo museo degli strumenti musicali meccanici. Fu proprio la contessa Silvia a fargli amare anche la piccola chiesa di Polenta, presso Bertinoro, visitata anche da Dante: Carducci ne sostenne il restauro, destinandovi i proventi della famosa Ode pubblicata dall’editore Zanichelli. A Carducci – si sa – sono state attribuite varie relazioni passionali, "ma con la contessa ci fu soprattutto un rapporto di amicizia, di confidenza – aggiunge Rossini –. Negli ultimi anni della vita, provato dalla malattia, lui le confidava il suo stato d’animo, la sua malinconia per il declino fisico ma al contempo un sentimento sempre battagliero". "Che brutta giornata, involuta di tenebre e di nebbia", le scriveva per esempio da Bologna il 5 dicembre 1905. Ma "se Voi foste qui e parlaste", le diceva, svanirebbe anche la triste nebbia. Quella "Sylvia dulcis" gli rallegrava i pensieri. E spesso nelle lettere – quasi a voler sgomberare il campo dai pensieri maliziosi – Carducci la pregava di portare i suoi saluti al conte.

Alcune lettere furono pubblicate già nel 1907 proprio dalla contessa in un piccolo libro, poi nel 1947 Natalino Guerra vi dedicò una tesi. Pare che Guerra le avesse viste dalla fidanzata Silvia Minardi che le aveva ricevute in eredità dal nonno, avvocato della contessa, ma aveva chiesto di mantenere il riserbo. In seguito le lettere sono “scomparse“: soltanto nei mesi scorsi la nipote riminese di Silvia Minardi le ha riportate alla luce, rinnovando la memoria di un dialogo cortese che ci parla di "desiderio e affetto infinito". E di eterna poesia.