Martedì 5 Novembre 2024
GIOVANNI BOGANI
Magazine

Cannes 2017, con Sicilian Ghost Story la mafia diventa favola nera

Grassadonia e Piazza: "Stufi dei Montalbano"

Una foto di scena di Sicilian Ghost Story di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza (Ansa)

Una foto di scena di Sicilian Ghost Story di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza (Ansa)

Cannes, 19 maggio 2017 - ​«SIAMO stufi di una Sicilia dove i commissari si fanno delle gran belle nuotate a mare, e poi mangiano la pasta con le sarde», dicono i due registi. «Noi ne mostriamo un’altra: una Sicilia di monti, di nebbia, di boschi, di laghi, di orrore».

È una Sicilia dove prende vita una favola nera, ispirata a una vicenda di cronaca. I due registi si chiamano Fabio Grassadonia e Antonio Piazza; il loro film, “Sicilian Ghost Story”, girato grazie a una borsa di studio del Sundance festival di Robert Redford, ha inaugurato ieri la Settimana della critica, prestigiosa sezione collaterale del festival di Cannes. Nel 2013, gli stessi due registi avevano vinto il Grand Prix in questa sezione con il loro film d’esordio, “Salvo”, interpretato da una magnifica Sara Serraiocco.

Sicilian​ Ghost Story” è da ieri anche nelle sale di tutta Italia. Non fatevi ingannare dal titolo: in realtà il film racconta il rapimento e la prigionia di un ragazzino, e le indagini che una sua coetanea, innamorata di lui, mette in atto per ritrovarlo. Intorno, quella Sicilia anomala, di nebbie, boschi e monti. Dove gli adulti sono brandelli di violenza o di indifferenza. L’umanità del film è affidata ai bambini. I due bambini del film si chiamano Gaetano Fernandez e Julia Jedlikowska.

Grassadonia e Piazza, come nasce la vostra storia? «Nasce molti anni fa, e si ispira a un evento di cronaca, raccapricciante: il rapimento del figlio di un pentito, Giuseppe Di Matteo. Uno dei motivi per i quali noi due, che ancora non ci conoscevamo, decidemmo di andarcene dalla Sicilia. Ci siamo tenuti dentro dei sentimenti di rabbia, di indignazione per tanti anni. E poi ci siamo decisi a farne una storia».

Una storia che ha i tratti di una favola nera.  «Sì; volevamo rispettare la realtà, ma allo stesso tempo aggiungere un elemento fantastico. Perché? Per coinvolgere maggiormente il pubblico. E perché non volevamo raccontare l’ennesima storia di mafia nello stesso identico modo. Abbiamo amato moltissimo i film di Francesco Rosi, “Salvatore Giuliano” o “Le mani sulla città”. Ma oggi non avrebbe senso copiarlo». 

Avete girato in una Sicilia anomala, di monti, boschi e nebbia.  «È una zona montuosa fra Messina, Catania ed Enna. Anche in questo caso, non ne potevamo più di una Sicilia sempre uguale a se stessa, quintessenza del Mediterraneo, dove i commissari si fanno delle gran belle nuotate in mare e poi mangiano la pasta con le sarde».  

Gaetano e Julia, che cosa sapevate della storia che il film racconta?  Gaetano: «Poco. Perché questa storia non viene raccontata. Volevo cercare di scoprire che cosa era veramente accaduto a questo bambino, ma alla fine non ho avuto il coraggio di guardare su Internet tutte le notizie. E mi sono affidato ad Antonio e a Fabio. Però so che, anche se non dovessi fare mai più l’attore, questa storia mi resterà addosso tutta la vita». Julia conferma: nelle scuole, questa storia non la raccontano.

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