Roma, 2 giugno 2024 - Il bostrico tipografo, “un insettino di 3 millimetri, insomma all’apparenza irrilevante, sta mangiando da tre anni gli abeti rossi delle Alpi. Quella specie ha un destino segnato, non sarà più prevalente soprattutto nel nord-est e soprattutto a quelle latitudini”. L’analisi è di Luigi Casanova, ambientalista, voce storica del Trentino, presidente di Mountain Wilderness.
Bostrico tipografo, flagello degli abeti rossi
Spiega Casanova: “L’attacco dell’insetto alle piante verdi di abete rosso abbattute o compromesse dalla tempesta Vaia si può definire addirittura peggiore del fenomeno stesso. Il freddo dei giorni passati ha provocato un rallentamento nella prima generazione annuale dell’insetto. Attesa con l’arrivo del caldo vero”.
Da cosa è stata provocata l’invasione del bostrico?
“Il bostrico tipografo è un fenomeno fisiologico delle foreste – chiarisce l’ambientalista, una vita nella Forestale -. Prima della tempesta Vaia, la sua diffusione era limitata. Perché gli abeti rossi erano forti. Ma dopo quell’evento, con una grande quantità di legno verde a terra e con la debolezza indotta nelle piante dai cambiamenti climatici, il bostrico ha festeggiato e si è diffuso in maniera che in Italia non avevano mai visto. Il fenomeno riguarda soprattutto certe aree del Veneto, Belluno e l’altopiano di Asiago in particolare; poi il Friuli Venezia Giulia, Trento e Bolzano”.
Come attacca le piante?
"Questo insetto – chiarisce Casanova – attacca solo i legni verdi. Si insedia tra la corteccia e il primo legno, quindi ha bisogno del succo della linfa che la pianta succhia per vivere. In poco tempo, l’albero muore”.
Esiste un rimedio per il bostrico?
Basta studiare “quello che è accaduto un decennio o due decenni fa nelle foreste dell’Austria o della Baviera per capire che il bostrico lì aveva già fatto strage di abete rosso. Quindi non esiste una soluzione scientifica. Esiste un cambiamento delle strutture forestali”.
Come si trasformerà il bosco?
In altre parole, “chi sarà vivo tra 70-100 anni, vedrà delle strutture boschive nelle Alpi del sud-est molto diverse da quelle che ha vissuto la mia generazione. Il bosco cambia. L’abete rosso non va più bene in questa situazione climatica e quindi la natura reagisce, con i tempi che decide lei, modificando radicalmente la struttura forestale”. La conclusione: “Dal punto di vista naturalistico non esiste il danno; il danno c’è ed è molto pesante dal punto di vista economico. L’abete rosso ha finito la sua storia di pianta dominante dell’arco alpino. Noi umani dovremmo accompagnare questa modifica portando altre specie, ad esempio il faggio. Perché dobbiamo essere noi ad adattarci alla natura e non imporre una determinata selvicoltura. Questo è l’insegnamento”.