Negli ultimi tempi è diventato di dominio pubblico il boicottaggio che artisti di primissimo piano hanno avviato nei confronti di Spotity: Neil Young, Joni Mitchell, il chitarrista di Bruce Springsteen Nils Lofgren, Graham Nash e India Arie hanno deciso di togliere la propria musica dalla piattaforma di streaming in segno di protesta contro le false informazioni sul Coronavirus diffuse dal popolare podcast di Joe Rogan. Un'iniziativa che è stata applaudita da molti colleghi musicisti, anche se alcuni dei più piccoli hanno utilizzato i propri social network per segnalare che, nel loro caso, la situazione è molto più complessa. Per approfondire: Polemica Spotify, dopo Neil Young anche Graham Nash toglie la sua musica dalla piattaforma
I piccoli musicisti contro Spotify
Grazie a un approfondimento pubblicato dal britannico The Guardian, scopriamo che numerosi musicisti di piccolo calibro
si schierano idealmente con l'iniziativa battezzata da Neil Young, ma poi fanno propria una considerazione diversa. Con le parole dal rapper della scena indipendente Open Mike Eagle: "Quali opzioni di protesta ci sono per musicisti che non sono già sistemati a vita?".
Il fatto è che le case discografiche fanno enormi pressioni perché la musica degli artisti che hanno sotto contratto sia disponibile su Spotify. Ma
la piattaforma paga 0,003 centesimi per ogni ascolto di un brano, e una parte di quel denaro rischia di non finire nelle tasche dei musicisti perché dovuta alla loro etichetta discografica: nel caso degli Eve 6, ci informa uno dei suoi membri, il 100% finisce a Sony e a loro resta nulla. Insomma,
"occorrono 10 milioni di stream per garantirti uno stipendio" (parole del musicista Bobbo Byrnes) e così tanti ascolti non sono cosa da tutti, anzi.
Protestare è spesso impossibile
Occorre aggiungere due considerazioni. Intanto, quel poco che i musicisti ricavano da Spotify rappresenta comunque un compenso. La cantautrice Katie Pruitt scrive, via Twitter: "Onestamente, vorrei potermi permettere di togliere la mia musica da Spotify come forma di protesta, ma
la mie finanze disastrate hanno davvero bisogno di quei 0,003 centesimi a stream". Seconda considerazione: Mac Collins, frontman degli Eve 6, ha detto al Guardian che molti artisti, compresa la sua band, non possono scegliere di lasciare Spotify perché
non posseggono i diritti sui propri master (che appartengono alle case discografiche).
Il privilegio di Joe Rogan
Questa situazione, e soprattutto i compensi ridicoli riconosciuti ai musicisti, stridono ancora di più tenendo conto del denaro ricevuto da Joe Rogan, che per mettere il suo podcast in esclusiva su Spotify è stato pagato 100 milioni di dollari. A un musicista servirebbero
qualcosa come 34 miliardi di stream, per ottenere un simile compenso. Pezzi grossi come The Weeknd, Justin Bieber ed Ed Sheeran, che dominano la classifica degli ascolti, viaggiano fra i 75 e gli 85 milioni di stream al mese: occorrerebbero
35 anni abbondanti per arrivare a 100 milioni di guadagno.
Con l'aggravante, a giudizio di molti, che 'The Joe Rogan Experience'
veicola false informazioni sul Coronavirus, ospita no-vax, ma ha anche posizioni parecchio discutibili su questioni razziali e di genere. Insomma, detto in parole povere: Rogan ha avuto un trattamento di riguardo che non merita e Spotify si disinteressa di un mercato musicale che ha contribuito ad affossare e che non pare interessata a risollevare. Così ai piccoli musicisti non resta nemmeno la possibilità di protestare.