Venerdì 22 Novembre 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Magazine

Quando Satana andava in bicicletta

La tortuosa storia delle due ruote: dai “ciclofobi“ di fine ’800 al boom del ciclismo e alla produzione di massa

Una scena di “Ladri di biciclette“, capolavoro di Vittorio De Sica del 1948

Una scena di “Ladri di biciclette“, capolavoro di Vittorio De Sica del 1948

Roma, 25 novembre 2019 - L’Italia è fra i maggori produttori di biciclette al mondo, ma quanta fatica per raggiungere tale traguardo. E soprattutto: chi l’avrebbe mai detto? Quando fece la sua comparsa – verso la fine dell’800 – il ’velocipede’ scatenò un putiferio. Il Paese si spaccò a metà: ’ciclofili’ da una parte, ’ciclofobi’ dall’altra. Primeggiavano i secondi e si facevano sentire. Erano preti, scrittori, politici e professori. La bicicletta era un ’mostro meccanico’, un ’diabolico strumento’, una ’macchina infernale’. «Non è forse Satana – scriveva il latinista Luigi Graziani nel 1902 – l’inventore di un mostro sì detestabile?». La Chiesa proibì ai parroci di usare le due ruote e l’ Osservatore romano scrisse che «il velocipedismo è una vera anarchia nel mondo». Per Cesare Lombroso la bicicletta contribuiva al dilagare della delinquenza, specie fra i giovani sotto i 25 anni e «fra gli uomini esageratamente agili». All’opposto, per i ciclofili il velocipede apriva la via alla libertà e all’emancipazione. Alfredo Oriani, scrittore fra i più noti del suo tempo, scrisse che «il viaggio umano è entrato colla bicicletta nel periodo della liberazione».

Stefano Pivato racconta l’appassionante Storia sociale della bicletta in un libro uscito per il Mulino, scoprendo che attraverso le due ruote si ripercorre la storia materiale e soprattutto morale dell’Italia unita. C’entrano l’arte, la politica, la letteratura; la lotta di classe e le due guerre mondiali; il boom economico e lo sport; il consumismo e il post consumismo. C’entrano naturalmente Coppi e Bartali, Gimondi e Pantani, ma anche Enrico Toti (eroe mutilato bersagliere ciclista) e Vittorio De Sica con tutto il neorealismo...

In politica all’inizio diffidavano della bicicletta sia destra che sinistra. I conservatori temevano per l’integrità dei costumi e per gli usi di piazza dei velocipedi (proibiti da generale Bava Beccaris durante i sanguinosi moti milanesi del 1898), i socialisti pensavano che lo sport distraesse dalla rivoluzione. Poi nacquero però i ’ciclisti rossi’ e non si può raccontare la storia della Resistenza a prescindere dalla bicicletta, usata dalle staffette e anche dai gappisti di città (l’omicidio del filosofo Giovanni Gentile a Firenze nel ’44 fu attribuito dai giornali a «quattro ciclisti sconosciuti»). Anche il fascismo individuò nella bicicletta un mezzo di coesione e propaganda e non esitò a sostenere la diffusione dell’«autarchico cavallo di acciaio».

Cambiò idea sulla bicicletta, ma con quanta lentezza, anche la Chiesa, sollecitata da tanti parroci di campagna bisognosi di muoversi con rapidità, ma ancora nel 1950 don Milani si sentì dire no dal vescovo alla richiesta di non indossare l’ingombrante abito talare durante il pellegrinaggio ciclistico a Roma per l’anno santo. È attorno alla donne, tuttavia, che si è giocata la battaglia più dura. La posizione in sella a cavalcioni era indecente e inaccettabile per tutti i moralisti. E molti medici e igienisti sostenevano che metteva a rischio l’apparato genitale... Pregiudizi, naturalmente, e infatti le suffragette e il nascente movimento femminista elessero la bicicletta a proprio simbolo, giudicandola «egualitaria e livellatrice».

Nel 1938 circolavano in Italia tre milioni e mezzo di biciclette, mentre nel ’45, a guerra appena finita, c’era una tale penuria di mezzi di ricambio che i partiti politici offrivano un copertone e una camera d’aria a chi prendeva la tessera... Erano gli anni – fra i ’30 e i ’50 – in cui il ciclismo era più popolare del calcio. Ora le posizioni si sono capovolte, ma l’intera storia della bicicletta è piena di sterzate e contraddizioni. Si è affermata come simbolo del progresso tecnologico, eppure un secolo dopo, con le città soffocate dal traffico e il clima impazzito, la bicicletta è invocata nella prospettiva di un difficile ma forse necessario... ritorno al futuro. La storia continua a viaggiare (anche) sui pedali.