Milano, 12 giugno 2023 – Furono le cantine di Milano 2, il quartiere ecosostenibile da lui costruito a est della città, i primi studi tv di Silvio Berlusconi per Telemilanocavo (1974). E sarebbero dovuti bastare. Si trattava, infatti, di dare qualcosa in più a chi si scomodava dal grigio del centro per tuffarsi nel verde della periferia in quel nuovo compound con tanto di logo (il biscione visconte stilizzato e riveduto, in bocca il fiore al posto del moro infedele): ovvero una tv via cavo, il gadget per famiglie lontane dai cinema, tutti concentrati attorno al Duomo. E invece…
Invece Telemilanocavo diventa, appena quattro anni dopo, Telemilano 58 grazie a un ripetitore piantato sul Grattacielo Pirelli, detto il Pirellone, che, con la sua intatta bellezza, dal 1960 domina la Stazione Centrale di Milano. E, di nuovo, la storia potrebbe esaurirsi lì, una tv locale in più fra le decine che allora popolano l’etere lombardo. Ma il Berlusca è un visionario eversivo: da visionario, intuì che avrebbe potuto fare più danè con la televisione che con l’edilizia, fino a quel momento suo core business; da eversivo, si mise in testa di infrangere il monopolio Rai (anni dopo farà lo stesso con il Milan, contro il consolidato monopolio Juventus; e con Forza Italia, contro il nascente monopolio Pds).
C’era un problema, però. Anzi due: impossibile avere la concessione per trasmettere sul territorio nazionale; di conseguenza, nessuna chance per la diretta. Arrendersi? Figuriamoci! Silvio, con Fininvest, crea Reteitalia, facendo capire già dal nome dove vuole andare a parare. Ingaggia Mike Bongiorno, uomo-simbolo della Rai. Trasforma Telemilano 58 in Canale 5. E parte alla conquista del mercato pubblicitario con il pizzone. Che cos’è? Presto detto: è una cassetta registrata di programmi e spot che viene spedita a 50 emittenti private, pronte a mandare in onda lo stesso titolo alla stessa ora nello stesso giorno. Geniale. Perché il pizzone porta in tv tutti gli inserzionisti tagliati fuori da Carosello, unico spazio televisivo destinato alla pubblicità e, quindi, costosissimo, richiestissimo, ma, appunto, per pochi.
Siamo nel 1980. L’Italia viene tappezzata di manifesti colorati che annunciano: “Corri a casa in tutta fretta, c’è un biscione che ti aspetta”. Quiz (con Mike!). Film, una marea di film (selezionati dal giovanissimo cinéphile savonese Carlo Freccero). Telefilm, su tutti il kolossal Dallas e il piccante Uccelli di rovo. Poi, a fine anno, la mossa decisiva: l’acquisizione dei diritti tv del Mundialito, torneo fra nazionali vincitrici dei Mondiali di calcio organizzato a Montevideo (Uruguay). Ne nasce un parapiglia per lesa maestà: il Biscione di Milano che azzanna il Cavallo di viale Mazzini. Tutto si acquieta con una complessa trattativa che fa rientrare in gioco la Rai e regala a Canale 5 la diretta.
Una svolta. Da lì in poi, nulla fu più come prima. Inutile il tentativo giudiziario di spegnere le arrembanti reti berlusconiane (nel frattempo divenute tre con l’acquisizione di Retequattro da Mondadori e di Italia 1 da Rusconi): Bettino Craxi si mise di traverso e diede a Fininvest la possibilità di competere ad armi pari con la tv pubblica. Dal monopolio al duopolio, insomma. E l’estetica berlusconiana, perfettamente sintetizzata dal Drive In di Antonio Ricci (colori sgargianti, belle ragazze, ritmo travolgente, comicità senza censure), fece apparire di colpo vecchia la paludatissima Rai. Silvio divenne ricchissimo. E, poi, con il Milan cambiò il mondo del calcio e con Forza Italia gli equilibri della politica. Ma la tv rimase sempre il centro della sua vita. Poteva essere diversamente?