Sabato 6 Luglio 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Magazine

Belli e indomabili, le imprese dei coniugi Lussu

Emilio eroe della Grande Guerra poi esule e ministro, Joyce partigiana, scrittrice e traduttrice. Entrambi specialisti in evasioni

Migration

di Lorenzo Guadagnucci

Parafrasando un abusato (e patriarcale) adagio, potremmo dire che stavolta dietro una grande donna c’è davvero un grande uomo. Sì, perché l’uomo ( e marito sposato due volte, la prima informalmente, la seconda con tutti i crismi legali) di Joyce Salvadori era Emilio Lussu, straordinaria figura di militare, politico, scrittore. Lussu, il capitano della Brigata Sassari nella Grande Guerra, che si “vantava” non già di un’impresa di conquista, ma dell’audace strategia di ritirata dopo Caporetto che gli permise di salvare tutti i suoi uomini, per i quali – e poi per tutti i sardi – fu per sempre l’amatissimo “su capitano”; Lussu l’avvocato antifascista che da solo, armi in pugno, respinse l’assalto squadrista alla sua casa nel centro di Cagliari, come raccontò in Marcia su Roma e dintorni, suo notevole libro, al pari di Un anno sull’altopiano, altro testo chiave del ‘900; Lussu lo specialista in evasioni (clamorosa quella dal confino di Lipari nel ’29 con Fausto Nitti e Carlo Rosselli), l’esule militante in Giustizia e Libertà, il fondatore del Partito sardo d’azione, il partigiano e poi, a guerra finita, il ministro dell’Assistenza post bellica nonché deputato alla Costituente. Emilio Lussu – il “Cavaliere dei Rossomori” secondo la biografia che gli dedicò Giuseppe Fiori – fu tutto questo, ma la sua Joyce, di ventidue anni più giovane, non fu da meno. Tutt’altro.

Beatrice Gioconda “Joyce“ Salvadori era nata a Firenze da genitori appartenenti a facoltose famiglie marchigiane (con innesti inglesi per parte di madre), e crebbe in un clima di grande libertà e anticonformismo. Entrò nella vita adulta con un impeto che l’avrebbe sorretta per tutto il corso della sua esistenza (morì a 86 anni, nel 1998).

Bellissima, avventurosa, colta, frequentatrice del salotto di Benedetto Croce, fu spontaneamente antifascista. Conobbe Lussu in esilio in Svizzera nel 1933: lui, 43 anni, era già Lussu, il leggendario “su capitano”, lei una giovane (21 anni) già impegnata nella lotta contro il regime: portava a Emilio da Ponza, dov’era riuscita ad arrivare, un messaggio di giellisti confinati (fra i quali suo fratello Max Salvadori) che progettavano un’evasione.

Fra i due fu un colpo di fulmine: sul momento durò solo un giorno e una notte, per le impellenze della lotta clandestina, ma lei sapeva che si sarebbero ritrovati, come infatti avvenne, e sarà sempre convinta, nei lunghi periodi di lontananza, d’essere legata al suo uomo da una qualche forma di telepatia.

Fra la Francia e la Svizzera e poi in Italia nei venti mesi della Resistenza, Joyce fu protagonista di innumerevoli, audaci imprese. Poliglotta, giovane, di bell’aspetto, si pensava – a ragione – che avrebbe destato meno sospetti di un uomo al cospetto di soldati e guardie di frontiera, perciò sfidò più volte gendarmi e militari per salvare ebrei e altri fuggiaschi o per varcare a più riprese il fronte durante l’occupazione nazista e lo scontro fra tedeschi e Alleati.

Nei lunghi anni dell’esilio si era anche specializzata nel lavoro di falsaria: "Imitavo pazientemente – raccontò – bolli e timbri senza fine, oppressa dall’ansietà di non fare un lavoro perfetto e causare così la catastrofe di un compagno".

Joyce ebbe un ruolo politico più defilato di Emilio Lussu, ma trovò una propria fisionomia di attivista, da innovatrice del femminismo e paladina del pacifismo antimilitarista, in un fertile connubio di pensiero e azione, alimentato anche dalla scoperta, grazie ad Emilio, della Sardegna e della sua civiltà ancestrale dai forti tratti matriarcali.

Joyce Lussu fu scrittrice, saggista, poeta, attivista anticolonialista della prima ora, affascinata dall’Africa (dove aveva vissuto negli anni Trenta) e dalla sua vitalità: nei suoi numerosi libri, per lo più misconosciuti, ha lasciato un’ampia attestazione dei suoi molteplici fronti di interesse. Si impegnò anche in un’insolita, efficacissima attività di traduttrice, anche da lingue sconosciute, come il turco. Fu lei a far scoprire in Italia il talento, fra gli altri, di Nazim Hikmet, poeta e rivoluzionario turco, del quale tradusse i versi in un fitto dialogo con l’autore, inventando un “sistema Joyce” di traduzione, come lo chiama Silvia Ballestra nell’appassionata (e appassionante) biografia (La Sibilla, editore Laterza) che ha dedicato alla Lussu, della quale fu amica e confidente.

Joyce fu anche protagonista della spericolatissima “evasione” dalla dittatura turca di Munevver, moglie di Hikmet, e dei suoi due figli (uno avuto col poeta, l’altra da un precedente matrimonio), un’impresa realizzata grazie al coraggioso aiuto (e allo yacht) del conte Enrico Giulini, ricco imprenditore milanese, padre dell’attuale presidente del Cagliari calcio. Era il 1961: Enrico e Joyce si finsero una facoltosa coppia in vacanza coi figli e riuscirono, rischiando non poco, a imbarcare i fuggiaschi in un porto minore, beffando i turchi. Una fuga degna dell’evasione di Emilio dal confino di Lipari più di trent’anni prima.

La Sibilla e il Cavaliere dei Rossomori: una coppia che ha fatto un pezzo della (migliore) storia degli italiani nel ‘900.