di Massimo Cutò
Ha disegnato l’Italia del ‘900. Nessuno come lui ha interpretato i desideri, le conquiste e le paure del secolo breve: l’ha fatto fino all’ultimo respiro, fino all’emorragia cerebrale che l’ha ucciso a 84 anni nel 1962. Marcello Dudovich, il nostro più grande cartellonista, era soprattutto un seduttore. Un mago della pubblicità capace di stregare committenti e consumatori con manifesti insuperabili, incollati sui muri di un Paese in cerca di identità.
Le luci del Ballo Excelsior, la tragedia della Grande guerra, l’invenzione del cinema, i signori e la dame all’ippodromo o a teatro, in crociera o alle corse automobilistiche. E l’avvento di una nuova classe sociale: la borghesia emergente, che sognava il salto di qualità rispetto alla vita agra dei predecessori. E che scopriva la malìa dei grandi magazzini Mele a Napoli e della Rinascente a Milano. C’è questo dentro l’opera grafica di Dudovich. Nel caleidoscopio dei sogni navigò appassionatamente con capacità innovativa. Ma qual era il suo segreto?
A svelarlo è la mostra curata da Nicoletta Ossana Cavadini e Roberto Curci a Trieste, la città dove nacque nel 1878. Nelle ex Scuderie del castello di Miramare, fino al 10 gennaio, sono esposti per la prima volta 200 scatti inediti – oltre ai manifesti, i bozzetti, le copertine di riviste prestigiose. È come aprire il cassetto nascosto di un illustratore geniale. Appassionato della fotografia, Dudovich ne aveva fatto un metodo di lavoro – lo stesso usato dal suo maestro Leopoldo Metlicovitz e qualche decennio prima, per la pittura, da Francesco Paolo Michetti. Non cercava l’immagine perfetta: l’archivio impresso sulla lastra era un serbatoio di idee, il suo quaderno di appunti, un promemoria ispiratore da tirar fuori davanti alla tela bianca che doveva riempirsi di linee e colore, prima di passare nelle mani del litografo.
Lo schema era semplice. Reclutava modelle e modelli – compreso se stesso – fra i conoscenti e i parenti, messi in posa e immortalati a futura memoria. È il caso della pronipote Cristina Luce, che si è riconosciuta – emozionata e sorpresa – in un’immagine di cui non conosceva l’esistenza.
Quattro le fasi del processo creativo: foto, schizzo e bozzetto fino al poster definitivo. Esemplare è uno dei cartelloni realizzati per la Rinascente: l’uomo con impermeabile e cappello nello scenario di Villa Bellagio è il signor Brustio, patron del super emporio e amico. Nello stesso manifesto c’è un particolare che sottolinea l’assoluta modernità dell’artefice: la signora della coppia è ritratta di spalle, il volto nascosto. Una scelta sovversiva rispetto ai canoni comunicativi dell’epoca. E in fondo un’eccezione anche per lui. Dudovich infatti ha sempre dato visibilità alla figura femminile.
Le sue donne somigliano alla moglie Elisa Bucchi, giornalista di moda. Sono emancipate, libere, eleganti: passeggiano con il cane sulla spiaggia di Grado, Rimini e Riccione o sorseggiano un liquore nei caffè della bella gente. Donne fascinose sdraiate sul divano o nell’alcova, che ammiccano a Italia Almirante Manzini e Maria Melato, dive del cinema muto e della scena. Donne ingioiellate con grandi cappelli, veletta e ventaglio. Gli accessori della seduzione sono presi dai cataloghi dei negozi chic: guanti, fiocchi, calze raffinate, sciarpe di seta. E in più la sigaretta sul lungo bocchino, simbolo di una femminilità che aveva relegato nell’angolo il vecchio contesto casalingo. Trieste e Bologna, il triangolo industriale Milano, Genova e Torino, perfino Monaco di Baviera.
Ovunque si diffondessero progresso e sviluppo – Borsalino e Campari, Fiat e Pirelli, Olivetti e Agfa – Dudovich rispondeva alla chiamata, arruolato tra le matite formidabili delle Officine grafiche Ricordi come da Chappuis. Il ragazzo svogliato e indisciplinato, ma straordinariamente portato per disegno secondo il giudizio dell’Istituto professionale d’arte, era nel frattempo diventato il migliore di tutti. Un istrione che vestiva alla moda e frequentava la vita di società raccontata nei suoi manifesti. L’autore ricco di stile, grazia, garbo: è questa la fotografia più autentica di Dudovich, il suo autentico segreto.