L'ambita conquista di Marte da parte dell'uomo, su cui sta lavorando la Nasa e di cui parla spesso anche Elon Musk, presenta ancora molti ostacoli, di natura tecnologica ma non solo. Una delle questioni che tiene più banco tra gli esperti riguarda ad esempio il modo in cui gli astronauti reagiranno all'esteso periodo di isolamento e come questo possa influire sulla buona riuscita di una missione senza precedenti. Il progetto SIRIUS (Scientific International Research In Unique terrestrial Station) raccoglie da tempo osservazioni in tal senso, con lo scopo di comprendere le ripercussioni di un lungo volo spaziale sulla salute mentale. I risultati degli ultimi esperimenti sono stati pubblicati sulla rivista Frontiers in Physiology e ci dicono qualcosa di più sui rischi che potrebbe correre un equipaggio impegnato sul Pianeta Rosso.
Vita nello spazio
L'articolo descrive
due esperimenti condotti nel 2017 e nel 2019, che hanno coinvolto un equipaggio misto di uomini e donne (12 persone in tutto) nella simulazione di una missione spaziale, della durata rispettivamente di
17 e 120 giorni. In entrambi le occasioni i volontari sono rimasti in isolamento in apposite strutture, testando le condizioni di vita su una ipotetica
stazione orbitale lunare, con una routine che prevedeva, tra le varie cose, attività di ricerca in ambito scientifico e psicologico, coltivazione di piante per l'auto-sostentamento e comunicazioni periodiche con un
centro di controllo sulla Terra, con tanto di ritardo nel segnale. L'esperienza più lunga includeva inoltre una
simulazione del viaggio di andata verso la base, il processo di aggancio (docking) della navicella, più una serie di operazioni extra come il controllo da remoto di un rover sulla superficie lunare.
Gli effetti dell'isolamento
Uno degli aspetti principali emersi dallo studio è che con il passare del tempo l'isolamento sembra spingere l'equipaggio a
ridurre il volume di comunicazioni con la Terra, diventando
sempre più autosufficiente e, di riflesso, sempre meno incline ad affidarsi alle indicazioni provenienti dall'esterno. Secondo i ricercatori, questa dinamica è indubbiamente positiva se si pensa all'autonomia degli astronauti, ma
risulta più preoccupante se la si guarda da un'altra prospettiva. "L'aspetto negativo è che il centro di controllo della missione perde la possibilità di comprendere le esigenze e i problemi dell'equipaggio, il che ostacola di conseguenza la capacità di fornirgli supporto", ha spiegato in un'intervista il coautore
Dmitry Shved, dell'Accademia russa delle scienze.
SIRIUS non si ferma
In linea con quanto messo in luce da altri studi, Shved e colleghi hanno anche notato delle
differenze interne all'equipaggio. Rispetto agli uomini, le donne hanno contattato con maggiore regolarità il team di controllo, informandolo di eventuali problemi e raccogliendo suggerimenti, con uno
stile di comunicazione definito "emotivo". Questo almeno nelle prime battute della missione: con il passare del tempo le diversità legate al sesso sembrano sparire, gli stili di comunicazione si uniformano e il gruppo tende comunque a
chiudersi su se stesso, tagliando fuori i controllori.
Il progetto SIRIUS è intanto già entrato in una nuova fase. Il
4 novembre scorso è partito l'ennesimo esperimento, che prevede un
isolamento di 8 mesi, più o meno quanto gli astronauti dovrebbero rimanere nello spazio per riuscire a sbarcare in futuro sulla superficie marziana.