Roma, 24 gennaio 2025 – La fusione del permafrost, il terreno ghiacciato nell’Artico, libera metano (oltre che pericolosi batteri come l’antrace).
La conclusione dell’ultimo studio internazionale Wildfires offset the increasing but spatially heterogeneous Arctic–boreal CO2 uptake, pubblicato su Nature Climate Change è l’ennesima conferma di qualcosa che gli scienziati osservano ormai da anni.
Artico, cambiamento climatico e gas serra
Dunque tundre e foreste boreali nel grande Nord - complice soprattutto il cambiamento climatico - invertono la tendenza e da pozzi di carbonio si trasformano in fonte di emissione di gas serra. “Noi causiamo quell’effetto e la natura ce lo restituisce amplificato”, sintetizza con efficacia Fabio Trincardi, geologo marino oggi consulente di Sealaska e direttore emerito del Dipartimento di Scienze del Sistema Terra del CNR.
Dal ghiaccio marino al permafrost
“I ghiacci - spiega lo scienziato - sono di diversi tipi. C’è quello marino spesso un paio di metri, che fa da specchio, rimanda nello spazio la radiazione infrarossa e sta diminuendo di estensione. Poi c’è il ghiaccio delle calotte, come la Groenlandia, che sta fondendo. Quando questo processo sarà completato, provocherà l’innalzamento del livello del mare tra i sei e i sette metri, quindi il problema non sarà più Venezia ma Ferrara, per dare un’idea. Infine c’è il ghiaccio delle grandi pianure, del Canada e soprattutto della Siberia, il permafrost. È il suolo permanentemente ghiacciato, quindi a sostanza organica, e contiene metano. Questa è una delle grandi amplificazioni dell’Artico”.
Lo scioglimento del permafrost e il metano
“I gas serra come sappiamo sono tanti - riassume lo scienziato -. La CO2, l’anidride carbonica, il metano che è 26 volte più efficace nel trattenere le radiazioni infrarosse, quindi provoca un maggiore effetto serra anche se dura molto meno in atmosfera perché si ossida. Dobbiamo ricordarci che la quantità di metano potenzialmente contenuta in tutto il permafrost del mondo - quello che viene chiamato sleeping giant, il gigante dormiente -, è tre volte la quantità di carbonio che abbiamo immesso noi nell’atmosfera dall’inizio della rivoluzione industriale ad oggi. Quindi il surriscaldamento di cui è responsabile la nostra economia può causare questa amplificazione. Un fenomeno che si sta già verificando. Ci sono libri che io chiamo ‘Cassandra’, avevano già previsto tutto vent’anni fa. Ad esempio quello pubblicato all’inizio degli anni 2000 dal vicepresidente americano Al Gore. C’erano foto fin troppo eloquenti”.
Il rischio virus e batteri
Ma da anni gli scienziati e molti studi pubblicati su riviste internazionali insistono su un altro rischio, quello di virus e batteri imprigionati proprio nel permafrost e liberati con la fusione dei ghiacci. Nell’estate 2016 nella penisola Jamal in Russia si è verificata un’epidemia massiccia di antrace nelle renne, secondo i numeri pubblicati in diversi articoli su 2.650 animali infetti ne erano morti 2.350.
Spiega dalla Svezia al telefono con Quotidiano.net Tommaso Tesi, ricercatore del Cnr (Istituto di scienze polari) che lavora proprio sulla fusione del permafrost: “Tra i vari effetti c’è il rilascio di antrace ma anche di mercurio e carbonio. L’antrace provoca un effetto molto locale, non interessa direttamente noi ma altre latitudini. Ma sicuramente influenza i 4 milioni di persone che vivono nell’Artico. Si tratta di un batterio associato ai cadaveri di animali, ad esempio ai mammut, ma qualsiasi specie può essere contagiata. Finché questi resti sono congelati, chiaramente l’antrace non si libera. Ma sono spore che possono comunque sopravvivere migliaia di anni. Questi batteri con la fusione dei ghiacci si risvegliano e inquinano le falde acquifere. Quindi rappresentano un pericolo, anche per le renne, perché l’acqua non è più potabile”.
Il problema mondiale resta il carbonio
Il problema globale resta quello delle emissioni in atmosfera. “Parliamo di un rilascio che va ad aumentare l’emissione nell’atmosfera sia come CO2 sia come metano - ricorda lo scienziato -. Si tratta di un serbatoio naturale che può rilasciare questi due gas serra e quindi qualsiasi politica di riduzione deve fare i conti anche con questo. Non è solo quello che noi bruciamo ma quello che il sistema rilascia in maniera naturale, se viene alterato”.