Venerdì 15 Novembre 2024
Francesco Ghidetti
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Francesco Ghidetti TIRESIA ha chiuso gli occhi per sempre. Andrea Camilleri era nato a Porto Empedocle nel 1925. Lui, il padre di Salvo Montalbano, il caso editoriale degli ultimi vent’anni (per...

Francesco Ghidetti

TIRESIA ha chiuso gli occhi per sempre. Andrea Camilleri era nato a Porto Empedocle nel 1925. Lui, il padre di Salvo Montalbano, il caso editoriale degli ultimi vent’anni (per capirsi: nel 2009 era arrivato a 21 milioni copie vendute solo in Italia). Il siciliano che aveva inventato, proprio per le avventure del commissario di Vigàta, una lingua letteraria nuova e sublime. Lui, già sceneggiatore di telefilm che hanno segnato la storia della tv come il tenente Sheridan o Maigret. Il grande cultore di cose teatrali. Lui, che rivendicava il suo essere di sinistra senza nascondere il passato convintamente fascista. Senza strologare sullo scrittore che, secondo canoni preistorici, ha da essere per forza «impegnato»: un suo famoso collega lo accusò di aver tradito Leonardo Sciascia e la tradizione dei grandi scrittori di Trinacria sempre improntata all’impegno civile... Lui, amato per Montalbano, ma autore di romanzi storici e psicologici di rara bellezza, Il tailleur grigio su tutti.

SÌ, A QUESTO PUNTO, ai lettori emozionati e strammati (se leggete Montalbano sapete che cosa intendiamo: disorientati, stupefatti, sconcertati) è impossibile sfuggire a una frase fatta eppure vera: ci sentiamo abbandonati. La vigilia dell’uscita dei suoi libri era un’attesa infantile, come le ore che mancavano a una nuova puntata di Montalbano in tv una febbrile attesa per stare in pace, lontano da tutti gli affanni. Perché in fondo Camilleri officiava, come un sacerdote laico, a una funzione, semplice ed essenziale: emozionare. E dire che il Maestro – quando lo chiamavamo così si metteva a ridere e pronunciava affettuosi insulti – aveva raggiunto il successo tardi assai. Per la precisione nel 1994, prima avventura di Montalbano: La forma dell’acqua. Non che prima non avesse scritto. Anzi. Ma senza riuscire a pubblicare.

UNO DEI PIÙ bei misteri del grande scrittore era la cifra stilistica. La lingua, il vigatese. «Molti pensano – scrisse su MicroMega – che il mio vigatese sia un po’ di siciliano e un po’ di italiano mischiati insieme, come una cassata, ma significa non avere capito assolutamente nulla e, soprattutto, non conoscere il dialetto siciliano. Tant’è che i miei amici siciliani quando hanno letto i primi libri mi hanno detto: ‘‘Cumpà, ma chi dialettu scrivisti?”». Ecco, in queste poche parole si palesa il più autentico Camilleri. La sua precisione, la sua cura del particolare, la sua ironia. Com’è nata questa nuova lingua? Dopo un lavoro, ricordava spesso, lungo e faticoso. Camilleri partiva sempre da un dato di realtà (e infatti i romanzi storici sono bellissimi, come La strage dimenticata) e anche per la lingua fu così. Suo padre stava morendo in ospedale e «a un certo punto mi disse: ‘‘Raccontami qualche cosa’’. Allora gli dissi: ‘‘Papà mi è venuta voglia di scrivere un romanzo’’. ‘‘E cuntamilla’’. Glielo raccontai in tre nottate. Dopo di che lui mi disse: ‘‘Mi fai una promessa?’’. ‘‘Sì papà’’. ‘‘Questo romanzo lo devi scrivere come lo hai raccontato a me’’». Così fu. Nacque Il corso delle cose.

L’UNIVERSO di Camilleri è davvero infinito. Per esempio, il rapporto con le donne, la rappresentazione che lui ne fa – e ancora citiamo a esempio Il Tailleur grigio. Tanto da rispondere così a Marcello Sorgi in un aureo libretto scritto a quattro mani e pubblicato da Sellerio (La testa ci fa dire): le corna? sono «spesso una forma di reazione alla condizione di repressione in cui si trovano a vivere».

E poi, i sentimenti. Come l’invidia. «Non ho mai invidiato nessuno». Quando Umberto Eco spopolò con Il nome della rosa Camilleri brindò perché era una vittoria della patria letteraria. Anni e anni prima, si sottopone a una prova delicatissima: a dieci anni in Sicilia ci si misura il pene. «C’erano compagni miei, figli di pescatori, dei quali avrei dovuto crepare d’invidia. Invece, non li ho mai invidiati».

RESTEREBBE da parlare della sua passione del teatro. Del fatto che Camilleri era uno dei supremi conoscitori dell’opera di Luigi Pirandello tanto che le sue riflessioni con Biografia del figlio cambiato, anche a livello accademico, hanno incontrato un successo incredibile. Sì, Tiresia ha chiuso gli occhi. Quella Tiresia che il Maestro ci aveva proposto al teatro greco di Siracusa il 18 giugno dello scorso anno. Valgono le parole che leggiamo sul sito del Camilleri fans club: Camilleri sceglie Tiresia, l’«indovino che compare nell’Odissea, il profeta reso cieco da Giunone (o da Atena?) punito perché rivelava i segreti degli dei, è il protagonista di una conversazione solitaria» per meditare ad alta voce «sulla cecità e sul tempo, sulla memoria e sulla profezia, parla di sé e del suo viaggio nella vita e nella Storia».