di Chiara Di Clemente
"A cosa servono tutte queste riprese? Il punto è la comunicazione. Poi magari serviranno a fare un documentario su di noi", dice il profeta John Lennon. Oggi quelle 60 ore di filmati inediti girati in 21 giorni da Michael Lindsay-Hogg nel 1969, e più di 150 ore di registrazioni audio mai ascoltate prima, sono il documentario fiume di Peter Jackson disponibile da sabato per intero su Disney+. Quasi otto ore in totale, divise in tre episodi: risultato, Get Back, ovvero il Grande Fratello Beatles.
Lo spettatore si trova esattamente lì, in mezzo ai Fab Four. Attraverso un’operazione di montaggio veramente virtuosistica, quei 21 giorni non scorrono davanti agli occhi, ma vivono “in diretta“ nel cuore dei fan. I quattro si ritrovano il 2 gennaio del 1969 ai Twickenham Film Studios di Londra per dar vita a un progetto che consiste nel realizzare un concerto su un loro nuovo album da trasmettere in tv, in presenza del pubblico: due fasi le fasi di lavorazione, la prima la composizione del disco – con tutto il processo creativo ripreso dalle cineprese ai fini di uno speciale da abbinare al concerto –, poi lo show, con brani eseguiti dal vivo senza sovraincisioni o quant’altro. Tempi strettissimi, quasi impossibili: inizio del lavoro sulle nuove canzoni il 2 gennaio, appunto, il concerto programmato per il 19 o 20 dello stesso mese (in realtà si terrà il 30 gennaio, sul tetto della Apple, e sarà l’ultimo della band).
In quel momento i Beatles sono i Re del mondo, pur giovanissimi: Paul ha 26 anni, George Harrison 25; John ne ha 28, come Ringo Starr. Morto il loro mentore, Brian Epstein, è proprio nel confronto edipico con questa mancanza che il documentario di Jackson diventa la cronaca dei turbamenti profondi di quattro anime. Get Back focalizza la centralità di Macca, tormentato da un furore tenuto sistematicamente sottotraccia, ma per questo evidentissimo: Paul alterna i momenti di libertà e ispirazione creativa a quelli in cui si impone di incanalarla in un “metodo“. Perché è l’ordine – che imponeva Epstein – ciò che adesso manca a lui e all’intera band, per funzionare. E allora è Paul che prova a sostituirsi al papà perduto: "Siamo molto negativi da quando il signor Epstein è mancato: è per questo che tutti, a turno, ci siamo stufati del gruppo, no? Perché non c’è più niente di positivo qui dentro, no? Non c’è più nessuno adesso a dirci: fate così. Ma siamo noi che dobbiamo dircelo, adesso. Questo vuol dire semplicemente crescere. Tuo padre se ne va e devi cavartela da solo. O lo facciamo o andiamo a casa". (Dalle session – per la cronaca – nasceranno non uno ma due album: Abbey Road e Let it Be).
Lennon tace, perlopiù; si presenta al lavoro appiccicato a Yoko Ono, sfinge muta (ma non troppo) indaffarata a sferruzzare o a leggere il giornale, seduta sempre accanto al suo uomo. Il nervosismo di George si taglia col coltello: arriva in studio coi suoi brani, tipo il capolavoro All Things Must Pass, ma viene ascoltato a malapena e soprattutto con Macca gli scontri sono frequentissimi: mite, George non alza mai la voce, ma le parole sono gelide (la famosa frase a Macca "ok, suonerò quello che vuoi oppure se vuoi non suonerò affatto. Farò qualunque cosa tu voglia, per farti piacere. Ma dubito che tu sappia davvero cosa vuoi") tanto che com’è noto arriva ad abbondonare la band, per qualche giorno. Ringo? Ringo è Ringo, tranquillo, sornione, ma perennemente – per indole bonaria più che per scelta sua o degli altri – di laterale supporto.
Nel Grande Fratello Beatles viviamo in diretta la nascita miracolosa di melodie leggendarie, ed è una nascita che incanta, lascia di stucco: Get Back sgorga dal basso di Macca quasi per caso, lui seduto a terra, accanto Ringo che lo osserva, George che sbadiglia, poi a poco a poco Ringo batte le mani a ritmo, George prende la chitarra, e via. Idem Across the Universe, che Lennon pare buttare là, come nulla. O Let it Be, con Paul che dice "non so come farla iniziare, forse così?", e improvvisa l’attacco per i secoli dei secoli.
Il Grande Fratello Beatles però è soprattutto la cronaca di un amore che contemporaneamente c’è e viene a mancare, quello tra Paul e John. In questa specie di Scene da un matrimonio beatles-bergmaniano, la tortura che deriva dall’amare troppo e dall’odiare troppo qualcuno è affidata non già alle citazioni di Strindberg o Cechov, ma alla realtà delle immigini degli sguardi tra Macca e Lennon. Si accendono di gioia pura, entrambi, quando cantano e suonano insieme. Ed è smorzato in un sorriso ma disperato lo sguardo di Paul a Lennon che si allontana da lui, alla fine dell’ultimo concerto: "Get back", gli dice "Torna nel posto a cui appartenevi".