Alvise Casellati ha scoperto di essere diventato il figlio della prima donna nella storia della Repubblica a ricoprire la seconda carica dello Stato mentre si preparava a dirigere La Rondine di Puccini sul podio del Carlo Felice di Genova. Nel mezzo del cammino di una vita spesa, infatti, tra tribunali e sale da concerto – segnata dal diploma di Conservatorio, dalla laurea in giurisprudenza, dal master in diritto d’autore alla Columbia University, e da 4 anni di corsi in direzione d’orchestra alla Juilliard School del Lincoln Center – il figlio di Giambattista Casellati e Maria Elisabetta Alberti Casellati ha preferito il frac alle pandette. Senza ripensamenti.
Alvise, cosa le ha insegnato sua madre?
"Da persona particolarmente sensibile alle ingiustizie, mi ha spiegato fin da bambino perché era giusto comportarsi in un modo piuttosto che in un altro. Io e mia sorella Ludovica siamo cresciuti con la certezza che, nelle dispute familiari con due avvocati, non saremmo mai riusciti a vincere senza stare dalla parte del giusto. E questa idea della bilancia, sempre capace di pesare torto e ragione, me la porto ancora dietro".
Nel 2007, a New York, le è cambiata la vita. Un trauma.
"Ero un avvocato col vento in poppa a Manhattan. Mi sono ammalato. Il danno s’è capito, la causa no. Forse colpa dello stress. Mi sono reso conto, però, di non aver prestato abbastanza ascolto al mio corpo. D’altronde è difficile fermarsi nel mezzo di una carriera. Ma mi sono reso conto che se fossi morto quel giorno mi sarei pentito all’ultimo istante di non aver trovato il coraggio di fare musica, di non aver avuto la forza d’abbracciare un’attività molto più complessa e incerta dell’avvocatura".
Quali erano i progetti della sua "prima vita"?
"Pensavo di tenermi la musica per la pensione, confinandola quindi un ambito decisamente più dilettantesco di quello che poi è stato. Non nego che a farmi cambiare idea è stata anche la fortuna di cogliere il momento e l’occasione giusta, oltre all’aver trovato una persona disposta a credere in me e nei miei mezzi: una vera e propria leggenda del podio, il maestro Piero Bellugi. Fu lui a caldeggiare il mio debutto italiano alla Fenice di Venezia nel 2011".
Dice che “Tosca” è un po’ la sua opera di famiglia. Perché?
"Durante il passaggio del fronte il mio nonno materno fu condannato a morte per aver salvato la vita a un avvocato ebreo. Ma l’arrivo degli americani gli evitò, poi, il plotone d’esecuzione. Durante la detenzione comunicava con la nonna grazie alle lettere recapitategli da un carceriere proprio come Mario e Tosca. Ecco perché quando ho diretto per la prima volta l’opera di Puccini al Petruzzelli di Bari ho voluto dedicargliela".
Mamma avrebbe voluto fare la scrittrice di libri gialli. E lei?
"A 16 anni facevo motocross e il mio sogno era la Parigi-Dakar. Ma l’aspirazione vera è sempre stata quella di forgiare il suono di una grande orchestra".
È inevitabile che la famiglia della Presidente del Senato stia sotto l’occhio dei media. S’è mai sentito "marcato" un po’ troppo stretto?
"Sì, decisamente. Ho notato che qui da noi alcuni considerano la parentela fonte di attenzioni e privilegi immeritati a prescindere dai fatti e dai risultati. In fondo, se avessi voluto la vita comoda e da privilegiato sarei rimasto a Padova, nello studio legale dei miei. Invece, dopo la laurea, mi sono messo in discussione, prima a Bruxelles e poi a New York per 12 anni con l’attività forense. Tornato in Italia, ho scoperto che tutte le mie capacità dipendono invece dal fatto di essere figlio di. Lo trovo umiliante. Prima di esprimere giudizi bisognerebbe forse verificare curricula e fatti. Comunque credo che l’esperienza del Covid ci abbia insegnato che in qualsiasi settore capacità e competenza sono importanti. Il mio danno l’ho avuto, spero solo che non continui. La musica non può dividere, ma unire".
Potendo avvicinare la personalità di mamma a quella di una delle eroine dell’opera, chi sceglierebbe?
"Forse nessuno, i personaggi del melodramma fanno sempre delle fini così tragiche…".