Giovedì 26 Settembre 2024
GIOVANNI BOGANI
Magazine

Pronto chi soffre? E' la voce di Almodovar

Il maestro spagnolo fuori concorso alla Mostra reinterpreta Cocteau con Tilda Swinton: "Quel monologo ha ispirato tutta la mia opera"

Pedro Almodovar e Tilda Swinton a Venezia (Ansa)

Pedro Almodovar e Tilda Swinton a Venezia (Ansa)

Nel film che ieri Pedro Almodóvar ha portato a Venezia fuori concorso, La voce umana (The Human Voice) da Jean Cocteau, c’è tutto della sua poetica: il melodramma, l’ironia, una donna sull’orlo di una crisi di nervi e anche più in là, l’amore come malattia, i tacchi a spillo, i colori accesi, il dolore e la gloria. E c’è una Tilda Swinton maestosa e fragile, fiammeggiante e perfetta. Il film è un mediometraggio, trenta minuti appena, o girato a tempo di record, subito dopo la fine del lockdown.

Pedro, da quanto tempo la ossessionava il desiderio di fare La voce umana al cinema?     

"Da sempre. In uno dei miei primi film, La legge del desiderio, del 1987, Carmen Maura interpretava La voce umana nella finzione del film. E il mio film successivo, Donne sull’orlo di una crisi di nervi, era una libera versione proprio de La voce umana. Una donna abbandonata dal suo uomo, un telefono: è una situazione drammatica che mi ha sempre affascinato. Ma questa è l’ultima volta che molesto il testo di Cocteau, prometto".

Che cosa è per lei questo film? 

"È un cortometraggio barocco, con i colori che amo, ai confini con il Grand Guignol. Un esperimento di libertà".

È il suo primo film in inglese, e il primo film con Tilda Swinton. Che esperienza è stata?

"Volevo vivere un’esperienza nuova, di libertà, quasi un capriccio, con un lavoro che non ha la durata di un film “classico”. Nel momento in cui tutti vogliono fare serie tv, cioè fare dei film più lunghi io ho pensato a fare un film più breve".

E con la Swinton?

"Una benedizione. Sentirla recitare in inglese è come sentire una musica che ancora ho nella mente. Mai sentito niente di simile prima. Una chimica simile con un’attrice è un miracolo". 

Ha apportato modifiche al testo di Cocteau?

"Nell’originale mi sembra che nella disperazione della donna ci sia più sottomissione. Io credo di avere dato alla mia protagonista una più forte capacità di vendetta. In fondo, tutto questo mostra che il testo è vivo, e si può trasformare".

Farà un nuovo film?

"Penso a una trilogia. In ottobre inizio a girare un film breve che sarà una specie di western: il titolo provvisorio è Estranha forma de vida, come un fado di Amàlia Rodrigues. L’altro racconterà di un futuro distopico in cui sono spariti i cinema".

Il cinema è importante per la vita? "La pandemia ci ha dimostrato che cinema, storie, cultura sono essenziali. Ci siamo nutriti di storie, durante la nostra reclusione. Adesso però dobbiamo reimparare a uscire di casa, a tornare nelle sale, a condividere emozioni, riso e pianto, insieme a tanta gente".

Ha delle illusioni, dei sogni?

"Ne ho tre: il sogno di continuare a vivere. Continuare a vivere facendo film. Continuare a vivere facendo film con Tilda".

E allora la parola a lei, Tilda: cosa ha provato nel ricevere l’altra sera il Leone d’oro alla carriera?

"In realtà sono timida, sul palco quasi non riuscivo a parlare, questo onore è immenso per me... Ma io non riesco a pensare alla parola “carriera”. Ogni film che ho girato, ho pensato che fosse l’ultimo. E non capisco la parola “carriera”. Capisco la parola “vita”. Per me, tutto quello che è stato, fino ad ora, nel cinema, è stato la mia vita". 

Una vita da musa...

"Quando ho incontrato Derek Jarman è stato come salire su un jet supersonico. Se non avessi incontrato lui, non avrei mai fatto cinema, non nel modo in cui lo faccio. È stato un colpo di fulmine. Un colpo di fulmine che ho poi sentito altre volte: sono sempre stati i rapporti umani che hanno generato i film. Con Luca Guadagnino, con Wes Anderson, con Jim Jarmusch, con Bong Joon-ho, persone meravigliose". E ora Almodóvar.

Cosa pensa del festival di Berlino che ha tolto il genere – maschile o femminile – dai premi agli attori?

"Che sollievo! Una decisione giusta. Siamo ossessionati dal mettere in caselle la vita: maschio, femmina, omosessuale. Dividiamo l’umanità per razze, per classi sociali: una tristezza".