Alfonso Femia, architetto e designer di fama internazionale, da poche settimane ha vinto il German Design Award con una lampada disegnata per iGuzzini.
Partiamo proprio da Drop by drop...
"È il primo dialogo con iGuzzini, loro sono noti per le capacità e qualità tecniche e io gli ho proposto una lampada che lavora con gli spazi e comunica un’idea di sensualità, ovvero la capacità di essere un elemento tecnico ma con l’obiettivo di dialogare attraverso la sua presenza con gli spazi che la accolgono".
È importante la luce?
"La luce è capace di rappresentare paesaggi differenti a seconda di come viene inserita, di coniugare la parte tecnica con qualcosa di sensuale con un’espressività legata all’interazione con lo spazio. Goccia dopo goccia, in qualche maniera segna gli spazi di attesa, quelli di transizioni, le pause".
Le piace anche il design, oltre all’architettura...
"A me piace molto la materia, la luce la considero una materia, e la materia è parte fondamentale della scrittura di un progetto: ho cominciato molti anni fa dalla luce, poi sono passato alla ceramica, al cemento, al vetro. Mi sono avvicinato al design sollecitato dalle aziende, con cui lavoro con spirito di scoperta, di apprendimento del loro sapere, di nutrimento. Il design mi è sempre piaciuto ma non avrei mai pensato che potesse diventare parte integrante del lavoro perché lo consideravo un percorso differente. Invece, generato così, in continuità con il progetto di architettura della città, è una cosa molto interessante di cui non facciamo più a meno".
C’è molta ricerca in quello che fa, con i progetti ma anche con le parole. Ad esempio nel libro appena uscito “I’m an architect”...
"La parola è un’altra materia che mi interessa, cerco attraverso le parole di raccontare quelli che per noi sono i valori dell’architettura. E il titolo del libro non vuol apparire arrogante ma puntare invece al tema della responsabilità, a cui tengo molto: l’architetto deve partire dalla responsabilità e parlare di sentimenti. L’architettura prima dell’estetica, prima della bellezza e prima dello spazio, è l’incontro con il realismo immaginario. Perché crediamo che l’obiettivo principale sia far parlare un edificio con le persone. Diamo il compito al progetto di fare una piccola battaglia su come si vive, su qual è la dimensione collettiva o quella più intima: tutto punta al dialogo, ponendo il progetto al centro per creare il meccanismo e l’energia che fa dialogare".
Sostenibilità: parliamone...
"È un termine che non amo, una volta che l’hai detto sembra che tu abbia assolto il compito. Invece dovrebbe portare a un atto di responsabilità su quello che riguarda il cosa prima che il come, considerando che ci sono cose che non sono sostenibili. Serve buon senso e responsabilità. Sento parlare di sostenibilità senza vedere poi azioni e invece atti sostenibili che non citano mai questa parola. Tema non facile, l’equilibrio è molto delicato, siamo molto lontani dall’idea di vera sostenibilità. Bisogna dire dei no, non tutto è sostenibile".