Parigi, 29 gennaio 2025 – L’attesa è finita, il debutto c’è stato. Fulminante, suggestivo, avvolgente, strepitosamente forte, infinito e poetico. Un turbine di sorprese al primo defilè di Alessandro Michele per la maison Valentino, la sua prima volta nell’haute couture che finora non aveva mai fatto e nemmeno conosciuto nei suoi misteriosi segreti di atelier. Dal buio di un teatro immaginario ricostruito in una grande sala della Bourse di Parigi, sotto un sipario ridondante sul quale scorrono nomi e nomi di liste e di pensieri ordinati e disordinati, eccelsi e poveri, arcaici e futuribili, come fossero annunci sull’autostrada ecco 48 modelli che avanzano solenni e poi alla fine danzano come in un sabba fashion, in un mix di modelle di ogni colore ed età, un palcoscenico di vita e di lavoro certosino delle sarte artiste dell’atelier di Piazza Mignanelli che sono state le vere protagoniste coi vestiti e il loro genio paziente.
“Sono stanco ma felice”, dice Alessandro Michele dopo il defilé applauditissimo e sbalorditivo per emozioni e scosse di sentimenti, “per me oggi è una festa, è stato un grande sforzo fino a questa mattina e ora ho un grande senso di pace! Non avevo mai fatto questo incredibile viaggio nella couture, avevo fatto finora dei vestiti ma non conoscevo la magnificenza di lavorare a un abito come fosse una scultura. Adesso il film è finito. C’è stato un grande sforzo da parte di tutti, una sfida al tempo, con la meraviglia di aver visto le sarte che hanno saputo tradurre tutto ciò che ho immaginato”.
Alessandro Michele è partito dalle liste che percorrono la nostra vita, vere o solo immaginate, un inizio e una fine collegate ma anche volatili come un eccetera finale, una incompiuta di sentimenti e culture: e di qui il paragone con l’abito che per Michele “è una infinita lista come un micro mosaico di tessuti e trame spesso incontrollabili perché fuggono dalla realtà”.
Il defilé si intitola “Vertigineaux, una poetica della lista” che ripensa ad Umberto Eco e alla sua concezione dell’infinito anche oltre l’immaginazione, “che è come mettere l’oceano in un bicchiere”.
Alessandro Michele racconta l’emozione delle giornate passate in atelier da Valentino, lo studio dell’archivio e il rapporto con le sarte, molto umano, la pazienza su tutto e la certezza che in questo lavoro serve sempre tempo. “E infatti penso che sfilerò sempre una sola volta all’anno perché questi riti richiedono tempo e pazienza”. Una mise en scene del vestire che emerge dal buio tra corpi e suoni, un lavoro antico fatto di virtuosismi.
Il defilé comincia con una abito da ballo Arlecchino, molto fastoso e un capolavoro di manualità assoluta col corpino che ha richiesto mesi di assemblaggio di georgette. Poi una catena di abbagli di bellezza, che ricordano scene di corti principesche, con gonne a panier e acconciature da scrigno, capolavori a mano che escono dall’atelier in cui si lavora ogni giorno per la sfilata ma soprattutto per le clienti. “Qui si fanno vestiti per la vita”, dice Alessandro che confessa di non saper cucire, di non essere un sarto né tantomeno un couturier, ma di saper maneggiare bene gli spilli e stilare liste dell’anima. Molte le modelle agè, coi capelli bianchi e la posa ieratica: “Adoro le persone mature, il tempo moltiplica la bellezza”, spiega Michele davanti alla sua ennesima vertigine creativa. “Un orlo di 650 metri col birillino fatto a mano per l’ultimo abito che sembra uscito da un film in costume o dall’archivio di Piero Tosi, è una realtà aumentata, un progetto surreale, un pezzo di Barry Lyndon e un po’ Gattopardo m anche la Marchesa Casati…”, conclude Alessandro esausto ma al settimo cielo per la gioia di aver affrontato alla grande questa sfida con se stesso e l’alta moda.