Giovedì 26 Settembre 2024
PIERO DEGLI ANTONI
Magazine

Alberto Angela nel Paese delle meraviglie. "Riscopriamo l'orgoglio"

"Abbiamo un patrimonio fantastico, bisogna solo valorizzarlo e gestirlo, non certo sfruttarlo facendo arrivare camionate di turisti

Alberto Angela (Ansa)

Alberto Angela (Ansa)

 Alberto Angela, come si fa a ottenere ascolti da Grande Fratello parlando di monumenti e bellezze naturali?

«Bisogna entrare in sintonia con il cuore degli italiani. Dietro il programma “Meraviglie” c’è un concetto molto semplice. Noi italiani siamo abituati a sentirci dire che abbiamo molti problemi ma, se viaggi per il mondo, ti accorgi che non è così. L’Italia ha 53 siti protetti dall’Unesco, più di qualsiasi altro Paese, ha campagne meravigliose dove vengono ad abitare persone di tutto il mondo, dove vengono a sposarsi cantanti e attori, abbiamo le montagne più famose, le coste più famose. Sembra che gli altri lo sappiano, e noi no. Io ho semplicemente tirato fuori la realtà. Noi abbiamo 2500 anni di storia, mentre all’estero questo non accade. Da noi si parte dalla Grecia, dagli Etruschi, dai Romani, dal Medio Evo con Siena e Pisa, poi Firenze col Rinascimento, quindi il barocco con Roma, Settecento con Venezia, fino all’Ottocento col Regno delle Due Sicilie. Abbiamo il Paese più bello del mondo. In un momento in cui ci sono molte preoccupazioni nazionali e internazionali, politiche ed economiche, voglio cercare di rassicurare e mostrare le cose positive. Dobbiamo esser orgogliosi di essere italiani».

Abbiamo 53 siti Unesco, ma allora perché nel flusso del turismo europeo non siamo il Paese più visitato?

«Abbiamo un patrimonio fantastico, bisogna solo valorizzarlo e gestirlo. Non viene valorizzato interamente? Benissimo, significa che abbiamo davanti delle praterie da sviluppare. Ma non sfruttandolo facendo arrivare camionate di turisti, questo è il modo sbagliato. Possiamo battere la Spagna, la Francia e qualunque altro Paese. Però ci vuole un coordinamento nazionale».

A proposito di Francia: lei sostiene che dovrebbe restituirci molti capolavori custoditi nei suoi musei?

«Al Louvre ci sono molti pezzi che sono stati portati via da Napoleone e che sarebbero dovuti tornare in Italia. La Rivoluzione francese ha stabilito un concetto che prima non c’era: il valore della cultura di un popolo è inalienabile. In precedenza chi vinceva la guerra si prendeva tutto il bottino. A partire dalla Rivoluzione francese, invece, è nata l’idea del rispetto delle altre culture. Infatti l’Italia ha restituito la stele di Axum, ha reso una Venere ai libici. Una buona parte degli oggetti del Louvre sono stati portati via con le armi spianate da Napoleone. Non è una cosa giusta».

Dovrebbero restituirci anche la Gioconda?

«No, ma non perché l’abbia portata con sé Leonardo in Francia. La vera storia è questa. Leonardo nell’ultimo anno di vita – stava molto male perché aveva avuto un ictus – ha regalato le opere che aveva con sé in Francia, e cioè la Gioconda, Sant’Anna, San Giovanni Battista, e il Cristo che è stato appena battuto all’asta, al suo allievo prediletto, e anche amante, Salai (Gian Giacomo Caprotti, ndr). E Salai li ha venduti ai francesi».

Nel suo giro d’Italia delle meraviglie, che cosa l’ha stupita, incantata, sorpresa di più?

«La Valle dei Templi di Agrigento mi ha davvero commosso, rappresenta un’intera civiltà, quella che ha inventato la democrazia, la geometria, l’architettura. Mi ha stupito la bellezza di Castel Del Monte, architettura pura, che secondo molti rappresenta una corona appoggiata sul terreno. Mi ha colpito Assisi con Giotto che da solo ha fatto uscire la pittura dal Medio Evo, con questi occhi allungati, con i denti che per la prima volta si vedevano sui volti di chi ride o canta. Mi ha emozionato...».

Basta, altrimenti mi rifà tutta la trasmissione. Se avesse la possibilità di esaudire una curiosità irrisolta, di svelare un mistero che l’ha sempre affascinata, cosa vorrebbe sapere?

«Mi sarebbe molto piaciuto vedere il tempio di Zeus della Valle di Agrigento – che oggi è tutto a pezzi – com’era una volta. Era uno dei templi più grandi mai costruiti. L’interno poteva contenere un campo da calcio. Quando ci pensi ti chiedi: ma come hanno fatto, senza cemento, senza computer?».

Da piccolo giocava con i soldatini, con le astronavi, con il meccano?

«Da piccolo disegnavo uomini preistorici e dinosauri, e ho continuato a farlo da grande con i programmi e con i libri».

Quando ha scelto di diventare paleo-antropologo?

«Avevo due passioni: il passato e l’oceanografia, che però ho lasciato stare perché per studiare il mare devi avere un rapporto diretto. Io non ho mai vissuto in una città di mare, ho capito che bisogna vivere il mare ogni giorno per poterlo studiare. E ho coltivato l’altra passione. Per dieci anni ho fatto scavi in Arabia e in Mongolia, l’emozione di essere il primo a toccare un osso o una selce che ha un milione di anni è incredibile. Lì ho affinato la psicologia del gruppo e quando fai un programma come “Meraviglie” – in 77 giorni abbiamo percorso 16mila chilometri e realizzato 4 prime serate – il gruppo deve essere affiatato. Le maestranze Rai sono fantastiche, io lo so perché ho respirato quell’atmosfera fin da piccolo».

Andava a trovare suo padre Piero sul lavoro, in Rai?

«Da bambino qualche volta sono stato sul set e al montaggio. Ho respirato il modo di lavorare, i problemi o le gioie che si presentavano. La Rai ha sempre avuto maestranze di altissima professionalità, come nel cinema. Ultimamente si ha l’impressione che tutto questo non esista più, invece esiste eccome».

Con gli ascolti che fa, qualche offerta da Mediaset o da altri le sarà arrivata...

«Il mio contratto era scaduto e aspettavo il rinnovo con la Rai che ha impiegato un po’ di tempo ad arrivare perché c’era stato il cambio di vertici. In quei frangenti si sonio fatti avanti altri interlocutori, però alla fine ho aspettato la Rai ed eccomi qua».